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Coronavirus, picco dei contagi a Bergamo: 385 morti in 7 giorni

Coronavirus Bergamo

385 morti per il Coronavirus in 7 giorni: il picco dell'epidemia non è ancora stato raggiunto, ma a Bergamo l'apice del dolore è già stato toccato.

“Gli ospedali hanno esaurito fisicamente la capacità di accoglienza”, denuncia Gallera, ma i contagi per il momento non lasciano tregua. Dopo Lodi e Vo’, ora è Bergamo a chiedere aiuto: gli ospedali sono al collasso, il personale sanitario è stremato. Al dolore fisico, tra mascherine che soffocano, guanti che provocano abrasioni, tute che fanno sudare, protezioni che lasciano lividi, si aggiunge quell’implacabile dolore interiore. Una paura devastante ed estenuante, sintomo della nostra più profonda umanità, si unisce alla sofferenza costante, quotidiana, nel vedere morire così tanti uomini e donne. Non importa l’età, la malattia, il quadro clinico più o meno compresso: alla morte non ci si abituerà mai. L’emergenza Coronavirus a Bergamo resta altissima. La città, così affascinante nelle sue vie del centro, così romantica e suggestiva nella sua parte alta, è irriconoscibile, spettrale. Niente flash mob, niente canti sui balconi. La paura è tanta. La gente non esce di casa, ma la morte aleggia indisturbata e continua a mietere vittime. In 7 giorni ci sono stati 385 morti. 55 al giorno, uno ogni mezz’ora. E la città non ha neppure il tempo né il modo di piangere i suoi morti.

Il picco dell’epidemia, fanno sapere medici e scienziati, non è ancora stato raggiunto. Ma nella Bergamasca l’apice del dolore è già stato toccato. Le vittime sono tante e per loro non c’è spazio. Stanno all’interno delle chiese, perché le camere mortuarie non bastano. In tv, il sindaco Giorgio Gori lo ha detto chiaramente: “Un forno crematorio non basta”. Di morte non se ne vuole più sentir parlare. Perché a Bergamo non sia stata fatta la zona rossa è un dubbio di molti. A chiederselo è persino il professore Giuseppe Remuzzi.

Un male oscuro e senza pietà; invisibile, improvviso. Oltre 10 pagine di necrologi sull’Eco di Bergamo confermano la gravità del problema. Perché se è vero che quando si muore si è soli, con il Covid-19 lo si è ancora di più. Accanto non si ha nessuno: amori e affetti di una vita svaniti in un istante. Nessun ricordo, nessuna cerimonia. La gente spera in un miglioramento della situazione. Per farlo, serve l’impegno di tutti. A chi sta bene viene chiesto solo un piccolo sforzo: stare a casa.

Coronavirus, picco di decessi a Bergamo

Alle 18, ogni giorno, è ormai diventato un appuntamento fisso quello con Angelo Borrelli. Tra vittime e contagi, i dati sono spaventosi. Numeri che pesano come macigni e dietro cui si sono persone, vite umane, famiglie spezzate. Affetti e ricordi svaniti in un istante a causa di un male ancora troppo misterioso e potenzialmente devastante. E ogni vittima alimenta la sfiducia. Dietro la fredda e asettica monotonia di numeri che si ripetono senza sosta, ci sono drammi e vite spezzate per sempre. Perché è vero che, come ricorda il professor Remuzzi, “molte vittime erano anziane o avevano precedenti patologie”, ma è anche vero che senza il Covid-19 “sarebbero ancora qui”.

Bisogna prestare maggior attenzione anche alle più piccole accortezze. Serve rigore, forza di volontà, altruismo. Serve tempo, ma i medici e gli infermieri, rinchiusi nella loro seconda casa, non ne hanno mai abbastanza. I posti letto spesso non sono sufficienti, ma i contagiati e gli infetti gravi sembrano non diminuire.

Maria Beatrice Stasi, direttrice generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha commentato la grave situazione con cui da giorni si confronta: Ho immagazzinato così tanto dolore che, dopo tre settimane, faccio fatica a contenerlo. Anche lei è positiva al Covid-19, lavora dalla sua casa di Calolziocorte, in provincia di Lecco. Ogni giorno resta “incollata al pc e a due telefoni”. Alle sue parole fanno eco quelle di Luca Lorini, primario anestesista, il quale ha dichiarato: “Abbiamo tirato su una palizzata, come i romani contro i barbari. Per ora tiene. Ma la situazione è drammatica.

La testimonianza di Maria Beatrice Stasi

Sulla delicata e impegnativa situazione affrontata a Bergamo, la Stasi fa sapere: “Per fortuna abbiamo appena potenziato le scorte di ossigeno con una nuova cisterna e 100 metri di collegamento. Con 400 pazienti Covid (su 1000 posti letto), se andassimo in default, sarebbe la fine”.

Nel pomeriggio di domenica 15 marzo la chiamata forse più attesa, forse più importante o magari solo la più desiderata. Il premier Giuseppe Conte l’ha contattata. È stata “una lunga telefonata, ha commentato Maria Beatrice Stasi. E ancora: “Mi chiesto cosa ci servisse. Personale, mascherine. E qualche ventilatore in più”.

Neppure il primario Lorini, in 35 anni di terapia intensiva, si sarebbe aspettato uno scenario così preoccupante. L’allarme Coronavirus a Bergamo fa paura. “Non c’è solo l’aspetto tecnico. C’è anche quello emotivo e relazionale con i pazienti. Sai che la bestia ogni giorno morde e là fuori la gente è terrorizzata.