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Coronavirus, il Ministero sapeva dei rischi? Il documento del 5 gennaio

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Spunta un documento del 5 gennaio in base al quale il Ministero della Salute sarebbe stato informato dei rischi derivanti dal coronavirus.

Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un documento datato 5 gennaio attraverso il quale il Ministero della Sanità sarebbe stato informato rispetto all’arrivo del coronavirus. Da quanto si apprende, infatti, in quei giorni venivano comunicati i primi casi di Covid-19 registrati in Cina, dove l’infezione aveva iniziato a circolare dal 23 ottobre 2019. Il Ministero aveva quindi provveduto a diramare la comunicazione all’Istituto superiore di sanità, all’ospedale Sacco di Milano e allo Spallanzani di Roma. Tuttavia, non era stato preso alcun provvedimento.

Coronavirus, Ministero conosceva i rischi?

Nel documento di tre pagine inviato al Ministero venivano enunciati chiaramente i sintomi e i rischi del coronavirus (una polmonite interstiziale bilaterale). Tra gli altri vi sono “febbre e difficoltà respiratorie”, mentre effettuando radiografie al torace si potevano notare “lesioni invasive in entrambi i polmoni”. Dal 5 gennaio pare quindi che si fosse a conoscenza del dilagare della malattia dapprima in Cina, ma poi anche in altri Pesi del mondo.

Di quella polmonite bilaterale, però, se ne parlò in modo approfondito dal 21 febbraio, giorno in cui venne registrato il primo caso di coronavirus in Italia. Ma ancora prima, alla fine di gennaio la Germania inizia a circoscrivere i primi casi di Covid-19, mentre in Italia veniva scoperta la coppia cinese positiva al virus. Nel frattempo si chiudevano i voli e i contatti con la Cina cercando di prendere i primi provvedimenti contenitivi.

Quel che è successo in seguito lo conosciamo: il contagio ha iniziato a diffondersi dapprima in due focolai e poi in molte regioni del Nord. Alla fine, anche il Sud è stato toccato dal contagio e ad oggi, gli ospedali risentono di questi numeri e non sono in grado di garantire le cure necessarie a tutti i pazienti. Come ha detto il professor Antonio Pesenti, direttore di rianimazione al Policlinico di Milano, però, “fin da subito era stato chiarito che le terapie intensive sarebbero andate in sofferenza“.