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Coronavirus, il tempo è l'unica arma per sconfiggerlo

Coronavirus: il tempo è l'unica nostra arma?

In attesa del vaccino o del farmaco che bloccherà il contagio, il tempo sembra essere l'unica arma che abbiamo a disposizione contro la diffusione del Coronavirus, facendo tamponi e cercando di rintracciare gli asintomatici.

La guerra al Coronavirus è solo una questione di tempo? È forse per questo che tentiamo di cristallizzarlo, di fermare le nostre vite, per concederci il tempo per trovare un vaccino o, semplicemente, fermiamo tutto nella speranza di togliere aria al nemico? Il tempo, solo il tempo ci dirà se abbiamo fatto bene o abbiamo fatto male. Ma è proprio del tempo che abbiamo più bisogno e l’aiuto a vincere questa guerra potrebbe arrivare da una tecnologia veloce, sperimentata e messa a punto durante un’altra guerra, una di quelle convenzionali, Desert Storm nel ’90.

La tecnologia per l’identificazione qualitativa del nuovo Coronavirus SARS-CoV-2 è stata messa a punto dalla DiaSorin, leader mondiali nel mercato della diagnostica di laboratorio, specializzati nei segmenti di immunodiagnostica e diagnostica molecolare. Il nuovo test permette di analizzare contemporaneamente i campioni di 8 soggetti, in appena 60/90 minuti, attualmente i test eseguiti negli ospedali e nei laboratori specializzati impiegano almeno 6 ore per avere i risultati dello screening di un singolo campione.

Questa tecnologia fu progettata per essere utilizzata dai militari americani in caso di attacco chimico, per individuare sul campo il tipo di agente patogeno usato da Saddam. Il nuovo kit di analisi è commercializzato con marchio CE in Europa dalla fine di marzo 2020, e può essere utilizzato sugli analizzatori – grandi poco più di una macchina per caffè a cialde – LIAISON MDX, centinaia dei quali sono attualmente installati presso diversi laboratori ospedalieri negli Stati Uniti e alcuni presso grandi strutture ospedaliere italiane.

La sperimentazione in Italia ha visto due dei grandi nosocomi impegnati in prima linea, lo Spallanzani di Roma e il San Matteo di Pavia. Sviluppato nel centro di diagnostica molecolare di Gerenzano (Varese), è stato pensato appunto per i Triage, e permette di risparmiare tempo prezioso.

In attesa del vaccino o del farmaco che bloccherà il contagio, il tempo sembra dunque essere l’unica arma a disposizione per eseguire migliaia di tamponi l’ora e isolare chi, senza alcun sintomo, continua a essere una bomba batteriologica vagante.

In questo momento, nei laboratori di ricerca di tutto il mondo, c’è in atto la più grande competizione scientifica dai tempi della corsa alla bomba atomica. Gli esperti continuano a snocciolare dati, studi, trend e proiezioni che in alcuni casi sono stati amaramente confermati. L’epidemia, divenuta velocemente pandemia, corre e si propaga a una velocità che il sistema sanitario del Paese difficilmente potrà reggere se non si trova il mezzo per fermalo. Ma questa paura non è solo nostra.

La notizia che mezzo milioni di kit per individuare il virus, i tamponi, siano volati negli Stati Uniti, a bordo di quadrireattore C-17 Globemaster dell’Air Force USA, ha fatto storcere il naso a tanti. I kit diagnostici sono stati acquistati dagli americani da una azienda bresciana, e prodotti nel cuore dei uno dei focolai più importanti del nord Italia, quello bresciano. Sui social – la pancia della nazione – si sono scatenati i commenti e le accuse secondo le quali l’azienda bresciana avrebbe preferito vendere l’enorme quantitativo di tamponi agli americani piuttosto che destinarli ai nostri ospedali. Se si considera che dall’inizio dell’emergenza i tamponi usati sono stati 100 mila, un quinto di quelli che hanno preso il volo per gli Stati uniti, il quantitativo venduti agli americani sarebbe stato sufficiente per almeno due mesi.

L’azienda bresciana, la Copan Diagnostics replica che è tutto regolare. L’ordine d’acquisto da parte degli americani era precedente allo scoppio dell’emergenza in Italia e poi i tamponi sono prodotti di libera vendita, senza nessuna preventiva autorizzazione per la vendita da parte delle autorità italiane. L’azienda precisa che non c’è carenza di tamponi e la loro produzione è in grado di soddisfare qualsiasi richiesta. Nelle scorse settimane, in Italia ne sono stati venduti oltre un milione: il problema non è la mancanza dei kit ma dei laboratori in grado di analizzarli.

In questo pericolosissimo gioco, quindi, si torna al punto di partenza: il tempo.

I sud coreani hanno dimostrato che l’isolamento, la separazione della popolazione sana dagli infetti ma soprattutto dai portatori sani, sarà lo strumento che ci permetterà di togliere l’ossigeno al nostro nemico prima che sia lui a toglierlo a noi. Ma la guerra al virus sta diventando una guerra di cifre: ogni giorno c’è un dato nuovo, una statistica diversa. Secondo alcune stime i positivi al coronavirus in Lombardia sarebbero almeno 250 mila, di cui 150 mila gli asintomatici e 100 mila i sintomatici ma secondo gli studi del professor Andrea Crisanti, Direttore dell’Unità complessa diagnostica di Microbiologia a Padova e docente di Virologia all’Imperial College di Londra, i contagiati potrebbero essere addirittura 450 mila.

E la nuova strategia dell’assessore regionale lombardo alla salute, Giulio Gallera, sembra muoversi proprio nella direzione di accertare e scovare i casi sommersi, vero focolai epidemico.

In queste ore a Milano, grazie alla rete di medici di base e a un portale della locale ATS, ­sono stati individuati 1800 affetti da coronavirus, attraverso diagnosi semplici, la temperatura corporea e un saturimetro – lo strumento che si applica all’estremità dell’indice per rilevare la percentuale di ossigeno nel sangue – e seguiti con telefonate quotidiane dai medici di base. Così tutti i pazienti con sintomatologia influenzale, anche se non accertata l’eventuale positività, devono essere considerati come sospetti casi Covid-19″. Insomma, sarebbero tanti i malati in casa sfuggiti alle statistiche ufficiali. D’ora in avanti i medici di famiglia li seguiranno di più con l’obiettivo di mapparli.

In questa guerra di cifre, purtroppo, l’unico dato certo e non disputato è il numero di bare di chi questa battaglia l’ha persa, vittime di un sistema che ha privilegiato altro o non ha saputo prevederne le mosse e si è limitato a rincorrerlo.