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Coronavirus, rianimatrice di Bergamo: "Gioia vedere gli occhi del malato riprendere vita"

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Claudia è una delle rianimatrici di Bergamo che in queste settimane stanno combattendo in trincea contro il coronavirus, mettendo tanta passione.

Claudia è una delle rianimatrici di Bergamo che in queste settimane stanno combattendo in trincea contro il coronavirus. In questa intervista rilasciata a Repubblica ha voluto raccontare la sua esperienza.

Coronavirus, vita da rianimatrice a Bergamo

Claudia “> Paleologo, 33 anni, è palermitana di origine, ma in queste settimane si sente un po’ bergamasca d’adozione, vista l’epidemia di coronavirus. Anestesista nella terapia intensiva dell’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, è di fatto alla sua prima esperienza professionale come rianimatrice come lei stessa afferma «L’11 febbraio mi specializzo a Palermo. Il 17 febbraio inizio a lavorare qui».

Intervistata da Repubblica, la giovane rianimatrice ha voluto parlare della sua intensa esperienza: “Io sono privilegiata-dice-Ho studiato per questo. Il dramma che stiamo vivendo è un’esperienza tragica ma mi dà la possibilità di fare quello che volevo: è da quando ero bambina che desidero aiutare gli altri. Nella mia famiglia non ci sono medici. Non posso dire di essere una grande intensivista, ma dò tutta me stessa per gli altri“.

La gioa della vita

Le emozioni vissute in questo periodo sono tante, un mix di gioia e dolore, ma Claudia ha un ricordo davvero speciale: “Ai malati intubati e sedati sollevi la palpebra per fare l’esame morfologico alle pupille. C’è una paziente. Dopo settimane di intubazione ha iniziato a migliorare. Le palpebre si sono alzate da sole. Ho visto questi occhi azzurri, bellissimi, profondi. Mi sono chiesta: come è possibile che non li avevo notati prima, quando alzavo io le palpebre? Avevano ripreso vita e l’abbiamo estubata. Che bella sensazione”.

In conclusione, una domanda non poteva che riguardare il fattore “paura”, alla luce dell’evoluzione che il virus ha avuto e per la serie di morti precoci che in queste settimane ha dovuto vivere, soprattutto tra i suoi colleghi: “Paura? Prudenza sì, paura no. La “sicurezza della scena” è la prima cosa che ci insegnano. Qui ci sono due persone che controllano nell’area vestizione e svestizione. Poi ogni lavoro ha i suoi rischi: vieni in contatto con malati di meningite, di epatite C, di Hiv. E adesso di coronavirus”