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Coronavirus, Piero La Grassa: "Al Trivulzio senza protezioni da Marzo"

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Al Pio Albergo Trivulzio di Milano pare non abbiano preso il Coronavirus sul serio. Un suo dipendente ci racconta cosa è successo da Marzo ad oggi.

Al Trivulzio di Milano, le protezioni contro il Coronavirus, pare non siano bastate. Con la diffusione del virus le case di riposo sono diventate devi veri e propri focolai con centinaia di anziani morti ed operatori contagiati. A parlare è un suo operatore che dall’interno ci racconta cosa è successo.

Coronavirus: al Trivulzio operatori senza protezioni

Piero La Grassa, sindacalista nonché dipendente del polo, raccontato cosa è successo nella struttura dai primi giorni di Marzo. Dopo la diffusione sui social del video della paziente deceduta, è scoppiato un vero e proprio caos, tanto che la Procura ha deciso di aprire un’inchiesta. Nel video in questione, gli operatori si avvicinavano all’anziana donna senza le dovute precauzioni. L’azienda ha prontamente smentito, affermando che sin da subito il personale era ed è accuratamente protetto. Il sindacalista commenta subito e a gamba tesa sostiene: Non è vero che l’azienda ha dato dispositivi a tutti. Ha dato i dispositivi a tutti quelli che avevano pazienti infetti: con febbre, tosse o sintomi che potevano condurre al Covid-19. Non l’hanno dato a tutto il personale. Questa è la verità”.

Abbiamo quindi chiesto fino a quando questa situazione è durata, e La Grassa: “Fino ad una settimana fa, quando hanno dato le mascherine chirurgiche. Prima le davamo solo al personale che aveva in reparto uno o due pazienti sotto osservazione. Ed è questa la mia contestazione. È vero che c’era carenza ma andavano tutelati tutti. Noi siamo un veicolo di trasporto per queste pandemie. Loro hanno sottovalutato questo”.

Come è stata gestita l’emergenza

Il sindacalista ci racconta di aver parlato del problema in diverse occasioni ma non è mai stato preso in considerazione: “Tantissimi di noi abbiamo fatto presente questo in tutti i modi. Ma la cosa che lascia più perplessi è che è vero che non c’erano mascherine, ma quando noi portavamo le nostre, all’inizio ce le facevano togliere per non spaventare i pazienti”.L’operatore continua: “Io non dico che i dispositivi erano tanti. Come in tutte le aziende c’era una carenza dei prodotti, però la mia azienda non ha neanche coinvolto il personale in queste decisioni. Hanno deciso, hanno mandato bollettini in giro e basta. All’inizio del mese di Marzo c’era una dottoressa che girava nei reparti per controllare chi usava le mascherine”. Gli operatori erano quindi costretti a non usare le protezioni, perchè così deciso dall’azienda, mettendo a rischio tanto la loro vita quanto quella dei pazienti.

Il sindacalista, commenta anche ciò che è successo alla signora protagonista del video, che proveniva da un altro ospedale. Ed evidenzia come altri pazienti arrivavano dalla regione senza aver fatto tamponi. “Il giorno in cui ne sono arrivati di più – dice l’operatore – arrivavano dall’ospedale di Sesto San Giovanni. Erano 17 pazienti, no Covid però. Ma non perchè lo fossero realmente, perchè avevano valutato loro così”. Pare quindi, che quando i pazienti sono stati smistati da un polo sanitario all’altro non venivano controllati; spostati solo su una valutazione forfettaria e quindi non scientificamente provata. Quando chiediamo se questi potevano essere positivi asintomatici, Piero risponde di si: “Li abbiamo ricoverati qui da noi. Uno o due di questi ebbero febbre e tosse: uno solo fece il tampone da noi e risultò poi positivo. Il medico di quel reparto ad oggi è sotto osservazione”. I trasporti venivano richiesti dalla regione per alleggerire le aziende e, a dire di La Grassa, era una cosa che non doveva esser fatta, se pur necessaria.

La situazione dentro la struttura

La situazione è quindi al Trivulzio molto tesa. Ad oggi Piero La Grassa dice: “Noi avevamo dentro 23 reparti, ma solo 7 reparti sono isolati. In questi c’è una presenza di pazienti con tosse, febbre e polmoniti”. Quindi continua: “È stata gestita male come emergenza. Legalmente loro hanno voluto seguire le line guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Purtroppo le linee guida difficilmente prevedono come gestire le case di riposo. Loro si riferiscono agli ospedali. Io il 12 Marzo ho contestato alla mia azienda che non avevamo mascherine e potevamo essere noi il trasporto della pandemia e loro non mi hanno proprio risposto. Oggi in alcuni reparti non danno le mascherine FFP2 ma danno quelle chirurgiche. È vero che normalmente possono essere utilizzate ma noi abbiamo pazienti davvero fragili e basta un asintomatico di noi e sono tutti infetti”.

Quindi come successo in altre strutture del Paese, lo scambio di operatori potrebbe portare alla diffusione del virus tra i pazienti. Per questo Piero aveva proposto di non spostare i pazienti e che, soprattutto, non venissero spostati neanche gli operatori dei reparti infetti a reparti non ancora infetti. Così facendo, infatti, la cosa si sarebbe diffusa sempre di più. Certo, ad oggi ancora la situazione non è chiara, ma come sottolinea il sindacalista “Se abbiamo chiuso l’entrata della struttura a parenti e fornitori dall’8 Marzo, chi altro sta portando la malattia in giro? Non c’è nessun altro oltre noi”.

Al Trivulzio gli operatori erano quindi protezioni, senza attenzioni e cura. Una situazione complicata, che si spera possa essere risolta e chiarita il prima possibile. Salvaguardare personale e pazienti è un dovere; gli uni sono correlati agli altri e la non cura dei primi non può che gravare sulla salute dei secondi.