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La Asl lo chiama per il tampone, ma lui è già morto da giorni

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La Asl lo chiama una settimana dopo la sua morte per fare il tampone. Angelo Franzò è morto di coronavirus. La denuncia della figlia.

Da Torino il coronavirus regala una storia a dir poco agghiacciante e che fa capire quali possano essere le falle del sistema. Angelo Franzò, 74 anni, è morto di coronavirus. Ma la beffa è arrivata una settimana dopo con la chiamata dell’Asl di Torino che invitava il paziente a recarsi per fare il tampone. La denuncia arriva direttamente dalla figlia Elisa che adesso chiede a gran voce giustizia. “Da qualche parte il meccanismo si deve essere inceppato. Nonostante tutto quello che i medici di base, gli infermieri e gli operatori stanno facendo negli ospedali, se il meccanismo va in tilt per questioni burocratiche o amministrative, allora tutti questi sforzi non servono a niente”, racconta un’amareggiata Elisa a Tpi. A far più male, però, è stata quella chiamata: “Quando il cellulare di mio padre ha squillato, lui non c’era più già da una settimana. Dall’altro capo del telefono c’era l’Asl To3 per avvertirlo, ironia della sorte, che poteva recarsi in ospedale a fare il tampone”.

L’Asl lo chiama per il tampone

Angelo Franzò, papà di Elisa, morto per coronavirus aveva: “74 anni. Due settimane prime di ammalarsi si era sottoposto a coronarografia e gli erano stati messi degli stent all’ospedale di Rivoli. L’operazione era andata ottimamente, lui era uscito dall’ospedale che stava bene. Non faccio ipotesi sul fatto che se mio padre fosse stato curato prima si sarebbe salvato, perché le ipotesi fanno solo male. Però non si può pensare che nonostante tanti sforzi degli operatori sanitari, possano succedere queste cose”. Uno sfogo amaro quello di Elisa che ripercorre le tappe della malattia del padre.

Il 12 marzo i primi sintomi febbrili: “Durante quella settimana la temperatura si alzò e si abbassò e il medico di base, seguendo il protocollo, gli prescrisse l’antibiotico, variandone il dosaggio nel corso dei giorni”. In quella settimana il medico di base, visti i sintomi, richiese il tampone per papà Angelo: “Mai fatto. Dopo una settimana, ossia giovedì 19 marzo, la febbre non era ancora andata via. Il medico di base – continua Elisa – gli prestò il saturimetro, che misura la saturazione del sangue. Essendo molto bassa, chiamammo l’ambulanza per farlo portare in ospedale. Mio padre entrò subito il terapia intensiva”.

Le falle di Regione Piemonte

Il tampone glielo hanno fatto direttamente in ospedale. Il risultato è stato ‘positivo’, sebbene Elisa e la famiglia non abbiano avuto ancora riscontri ufficiali. “Il giorno stesso in cui mio padre ci disse di essere positivo al coronavirus, mia madre, che viveva con lui, iniziò la quarantena in isolamento. E anche io. Durante quella settimana, mia mamma ebbe 3 giorni di febbre, ma non fece il tampone.

Lo aveva comunicato al medico di base, ma la febbre non si era alzata tanto e così stette solo a riposo. E a evidenziare tutte le falle della gestione coronavirus da parte della Regione Piemonte è ancora Elisa che denuncia: “Noi abbiamo avuto la coscienza di stare a casa in quei giorni in cui mio padre è risultato positivo, ma la comunicazione dell’Asl di restare a casa ci è arrivata molto dopo, il 6 Aprile. Quando la quarantena prevista era dal 17 al 31 di marzo. Che senso ha? Giusto per mandare una comunicazione ufficiale? Bisogna fare chiarezza”.