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Coronavirus, Urbinati: "Il vero rischio è la violazione della privacy"

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Nadia Urbinati si schiera contro l'utilizzo dell'app sul tracciamento del coronavirus: "É una forte violazione della privacy".

Nadia Urbinati, professoressa di teoria politica alla Columbia University di New York, ha sottolineato in un’intervista rilasciata a Fanpage come il rischio più grande questa emergenza coronavirus sia la forte violazione della privacy messa in atto dai governi di tutto il mondo occidentale. Nello specifico, sull’ipotesi dell’app per il tracciamento volontario dei cittadini, al fine di evitare i contagi, la professoressa si è così espressa: “Se accettiamo la dimensione del controllo sociale attraverso i dati è la morte della politica, è davvero la fine di tutto. Dobbiamo aspettare il vaccino comunque. E queste scorciatoie non solo non ci faranno arrivare prima, ma ci esporranno a un rischio enorme, quello di diventare come le società orientali. I cinesi sono abituati a essere monitorati, controllati ed eterodiretti. Hanno accettato questa condizione in cambio di pace sociale e di benessere. Invece delle rivolte e delle lotte, pane, companatico e buoni studi in cambio di monitoraggio radicale. È un grande cambio degli assetti geopolitici del pianeta”.

Coronavirus, Urbinati: “No alla violazione della privacy”

La Urbinati, sempre sul tema della privacy, ha aggiunto: “Hegel diceva si va da Oriente a Occidente, ma quando arriva agli Stati Uniti si ferma angosciato: dopo cosa c’è? È la fine della filosofia del diritto. Questo ritorno all’estremo oriente, alla Cina del controllo sociale, passando per l’estremo occidente, la California dei dati e degli algoritmi, è una situazione in cui forse le generazioni future gestiranno. Per noi è un salto mentale ed esistenziale enorme: a un chip sotto pelle che ci dice se abbiamo la febbre, che controlla che non usciamo, che ci sanziona se lo facciamo penso che nemmeno Orwell ci avrebbe pensato”.

Urbinati e l’app sul tracciamento

Dopo questa attenta analisi, la professoressa della Columbia University di New York ha scoraggiato all’utilizzo dell’app sul tracciamento: “È uno scenario, questo, che non solo non dobbiamo considerare, ma al quale dobbiamo strenuamente resistere. Preferisco il rischio di ammalarmi della sorveglianza totale. Che poi: quando passo di fianco a uno che è ammalato che succede? Il mio telefono suona, mi avvisa che ho di fianco il nemico? E una volta che ho a fianco il nemico cosa faccio? Scappo? Lo uccido? Questa non è ipertecnologia, questo è lo stato di natura”.