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Coronavirus, il dramma dei bambini lasciati soli dai genitori contagiati

Bambini abbandonati

Che fine fanno i figli, anche piccoli, delle persone contagiate da Coronavirus? È questa l'emergenza nell'emergenza.

Virginia ha 10 anni. Abita in un paesino in provincia di Ravenna. Da quasi una settimana vive a casa degli “zii acquisiti” Franco ed Eleonora perché non può stare a contatto con mamma e papà. Non può neanche incontrarli: da quasi una settimana sono ricoverati in ospedale dopo essere risultati positivi al Covid-19.

«Non sono più in pericolo di vita. – racconta Franco, amico di lungo corso che ha accolto la bambina, tirando un sospiro di sollievo – Le loro condizioni stanno migliorando di giorno in giorno. Abbiamo avuto molta paura quando sono stati ricoverati per via di una tosse che non andava via in nessun modo e di una febbre alta e intermittente».

Ed è lì che è nato un problema non di poco conto: Virginia non poteva restare con i suoi genitori in ospedale; non aveva zii nelle vicinanze che potessero ospitarla; non poteva andare dai nonni perché avrebbe potuto essere “infettata” e contagiare a sua volta i due ultrasettantenni. Non restavano che gli amici di una vita.

«Immediatamente ci siamo resi disponibili. – racconta ancora Franco – Virginia già ci considerava parte della famiglia, dunque non ci sono stati grossi problemi. E poi comunque la bambina parla in videochiamata con i genitori tutti i giorni. Ne stiamo uscendo, poco per volta. Lei capisce quello che sta accadendo: la nostra “piccola” vittoria è regalarle qualche momento di svago, è vederla sorridere».

Zumbimbi, i volontari venuti dallo spazio

La storia di Virginia è più comune di quanto si pensi. Con l’aumento dei ricoverati, infatti, si è affacciata già nelle settimane scorse una nuova emergenza: quella dei bambini rimasti senza un adulto di riferimento, perché i genitori sono stati ricoverati.

Così sono nati centri pensati per accogliere minori nell’attesa che i genitori guariscano dal Covid-19. Una di questi è “Zumbimbi”, una struttura d’accoglienza per bambini dai 6 ai 14 anni lontani dai genitori e che devono trascorrere la quarantena in isolamento.

«Tutto è nato – racconta a Notizie.it Claudio Bossi, presidente dell’associazione “La Cordata” che gestisce la struttura – quando è arrivata una segnalazione dal Tribunale dei minori di Milano: a causa dell’ospedalizzazione di diversi genitori, alcuni bambini rischiavano di restare senza condizioni sanitarie idonee e abbandonati a loro stessi. Da qui la decisione di attivarci».

In sole due settimane l’associazione è riuscita a mettere a nuovo una struttura recettivo-sociale di cui già disponeva: «Fino a quel momento usavamo l’edificio per ospitare famiglie con difficoltà o chi era in condizioni critiche». Si trattava, dunque, di rivoluzionare le intere stanze, in modo da renderle adatte e accoglienti per bambini. «È partito un incredibile gioco di squadra», racconta ancora Bossi.

Grazie ad Emergency, infatti, la struttura è stata sanificata e gli operatori sono stati formati adeguatamente. Al Comune di Milano il compito della distribuzione sicura del cibo, mentre Terre des Hommes ha raccolto fondi per «garantire cure immediate, ma anche la risposta a quei bisogni di accoglienza, ascolto e protezione dei bambini che nei primi giorni di questa emergenza nessuno aveva considerato», sottolinea a giusta ragione Paolo Ferrara, direttore generale della Ong.

E così dal 28 marzo “Zumbimbi” ha aperto le sue porte ai bimbi dei pazienti Covid. Le accortezze sono massime, come spiega l’operatrice Benedetta Rho: «Ognuno di noi operatori ha scarpe e vestiti che utilizza solo in struttura, siamo sempre con le mascherine e quando entriamo nelle stanze dei ragazzi siamo coperti con le tute che si usano anche negli ospedali».

È inevitabile che questo possa creare distacco con i piccoli ospiti e possa intimorirli. «Bisogna tener presente che i bambini arrivano con due paure: il timore di essere loro stessi infettati, e quello per i genitori che sono in ospedale. È per questo che le stanze sono tutte dipinte e, con l’aiuto di alcuni psicologi, per i più piccoli abbiamo inventato delle storie sfruttando proprio le tute che utilizziamo e che ricordano quelle dello spazio: in tal modo possono vivere quest’esperienza come fosse un gioco, come fossero dentro una storia», racconta ancora l’operatrice.

Sono i piccoli gesti che, nel momento in cui non è possibile un contatto diretto, possono fare la differenza. «Come quando – racconta non senza un velo d’emozione la Rho – è arrivata una bambina di 11 anni: era il giorno del suo compleanno. Ci siamo subito attivati per farle una torta in casa, come si fa in famiglia. È stato un momento unico».

Piccoli momenti e piccoli gesti che anche Franco ed Eleonora cercano di regalare a Virginia: «Dovendo stare tutto il giorno con le mascherine e con i guanti, ci divertiamo con lei a dipingere quelle per i giorni successivi, scegliendo di volta in volta un personaggio o un tema. Così l’indomani possiamo fantasticare e vederci ora come supereroi ora come dame dell’Ottocento, ora come animali della foresta», racconta Franco.

Fondamentale, dunque, è creare empatia. A “Zumbimbi”, ad esempio, vista la mole di volontari che si è resa disponibile («Intorno alla struttura – spiega ancora Bossi – ci sono circa 80 volontari attivi»), si è deciso di creare un rapporto diretto per ogni singolo bambino, «di modo che ognuno possa vivere, in questo periodo non facile, un legame esclusivo».

Il progetto di casa Combo

Ma l’esempio di Milano non è unico. Strutture simili sono nate anche in altre zone d’Italia. A Torino, ad esempio, Combo, il nuovo ostello inaugurato nell’ex caserma dei vigili del fuoco in corso Regina Margherita, ha deciso di mettere spazi e competenze a disposizione della Regione Piemonte e della Città per i figli dei pazienti Covid-19. Su impulso delle cooperative EduCare e Liberitutti è nata così Casa Combo.

«L’ostello ha subito deciso di mettere a disposizione gratuitamente la struttura – spiega l’operatrice Francesca Mariotti – E così siamo partiti in men che non si dica». Educatori, psicologi, professionisti, collaboratori, animatori e volontari anche qui hanno dato vita a una struttura che, nonostante le difficoltà del periodo e i timori dei piccoli ospiti, trasmette quella tranquillità necessaria per trascorrere un periodo non breve: «I bambini da noi restano almeno due settimane, il tempo della quarantena. Ma se ovviamente i genitori rimangono per più tempo ricoverati, continuiamo ad ospitarli».

La rete del volontariato anche a Torino è stata immensa: «Ogni bambino – spiega ancora Francesca Mariotti – dispone in stanza di pc per la scuola digitale, telefono, giochi. Ma, poiché devono rispettare la quarantena e dunque devono passare quasi tutto il loro tempo in stanza, ci sono volontari e tutor che entrano nelle loro stanze per garantire un minimo di contatto umano».

Un contatto che è stato fondamentale per “allentare” inevitabili tensioni iniziali. Com’è capitato con tre sorelle ancora oggi ospiti della struttura: «La mamma è ricoverata e non hanno altri parenti prossimi a Torino, così i servizi sociali hanno deciso di portarle a Casa Combo. All’inizio – racconta ancora l’operatrice di EduCare – erano completamente spaesate e non avevano voglia neanche di parlare. Pian piano, però, siamo riusciti a creare un legame che le fa stare serene in questo momento difficile».

Esattamente come con Virginia. Ora, grazie agli “zii” Franco ed Eleonora, riesce a essere più spensierata. In attesa di poter riabbracciare mamma e papà.