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Fase 2, Conte delega a noi la lotta al Coronavirus: meritiamocela

conferenza stampa decreto rilancio

Per inaugurare la fase 2 dell'emergenza Coronavirus, contro autorevoli pareri di medici, il Premier Conte ha dovuto affidarsi al senso di responsabilità di aziende e cittadini. Saremo in grado di meritarcelo?

Adesso dipende solo da noi. Con l’ultimo discorso Conte ci ha addossato di fatto la responsabilità di traghettare l’Italia fuori dall’emergenza Coronavirus. Dipenderà da imprese e cittadini quanto durerà la fase 2 al via dal 4 maggio: se proseguirà verso la fase 3 del ritorno alla “normalità”, o se retrocederà alla fase attuale. L’annuncio è stata dato con una settimana d’anticipo proprio per permettere a tutti di prepararci.

Saranno i datori di lavoro, a cominciare da ditte edili e manifatturiere, a dover predisporre ogni iniziativa a tutela della salute dei loro dipendenti: fornendo presidi sanitari, misurando la temperatura corporea, compilando anamnesi, allestendo postazioni di lavoro a un metro l’una dall’altra, monitorando il contingentamento degli ingressi e verificando che ogni disposizione adottata venga anche rispettata. Solo l’impegno e la vigilanza personale di dirigenti e impiegati potrà far riaprire fabbriche, impianti e relativo indotto in sicurezza.

Così come spetterà ai singoli regolarsi nell’accesso a giardini e parchi pubblici, evitare il sovrannumero ai funerali, salire su treni e mezzi pubblici occupando gli spazi segnati, rivolgersi a ristoranti e bar come servizi da asporto anziché luoghi di ritrovo. Soprattutto non prendere la generosa apertura verso le visite parentali, sebbene consentite ancora solo all’interno della regione, come scusa per organizzare carrambate. È qui che si annida il rischio maggiore: pur restando in vigore il regime delle autocertificazioni, davanti alle centinaia di migliaia di nuove persone autorizzate a uscire di casa i controlli delle forze dell’ordine si faranno inevitabilmente meno efficaci nello stanare i trasgressori.

È tutto demandato dunque al buon senso di aziende e privati. Nella conferenza del 26 aprile il Premier ci ha investiti della responsabilità e della correttezza che presuppone una democrazia. Non dobbiamo più aver bisogno del vigile-controllore, del vicino-spia o dell’avvocato che interpreti l’ordinanza per dirci cosa possiamo fare, capire come comportarci, trattenerci dallo sgarrare. Saremo capaci di non ripararci dietro ciò che la legge consente, per abusarne?

Meno si circola senza motivo più si riuscirà a mantenere quel metro di distanza sociale che, insieme a guanti e mascherina, è presentata al momento come l’unica possibilità di non gettare all’aria i sacrifici e ripiombare nell’incubo della reclusione. Appena le Regioni segnaleranno al Ministero della Salute una ricrescita delle soglie sentinella del contagio, il rubinetto verrà di nuovo stretto. Con conseguenze a quel punto inimmaginabili, dal punto di vista economico e psicologico.

È una fase 2 a tempo ancora indeterminato, un atto di fiducia inaugurato a furor di popolo (o di social) e contro autorevoli pareri di medici. E che a livello locale potrà comunque subire eccezioni e deroghe in nome del federalismo. Si continua a navigare a vista nella tempesta dei numeri del bollettino delle 18, perché è inutile e impossibile fare previsioni a un mese.

D’altronde finora è stato un semi isolamento: secondo la Cgil il 50% dei lavoratori ha continuato e continua a lavorare, e non tutti in smart working. Una quarantena edulcorata pian piano da concessioni alle esigenze ora di runner olimpionici, ora di famiglie con piccole pesti, ora di intellettuali in crisi d’astinenza di libri, ora dei falegnami di Poltrone&Sofà, ora di palazzinari che devono tirar su l’ennesimo condominio da sgomberare quando resterà invenduto. Un lockdown ben lontano dall’originale cinese, in cui uscivano solo medici e poliziotti (e basta), dove tutti i positivi erano allontanati e curati nei lazzaretti al primo starnuto e il cibo consegnato al checkpoint armato eretto di fronte a ogni portone.

L’isolamento sociale non è un filo che in Occidente si può tendere troppo senza che si spezzi, ma la maggioranza degli italiani ha dimostrato di essere adulta, di non aver bisogno del guardiano, di possedere la maturità che richiede un’emergenza internazionale e la consapevolezza che presuppone una “autogestione”.

La road map è tracciata ma starà anzitutto alla popolazione riuscire a non andare fuori strada prima del traguardo, evitare la tentazione del “libera tutti” dopo oltre un mese di privazione, fare in modo – continuando a usare ogni precauzione – che il 18 maggio riaprano anche negozi, musei, mostre. E che il primo giugno si aggiungano bar, ristoranti, centri estetici. E più in là ancora i centri balneari, e forse le palestre.

La valutazione della necessità di uno spostamento sarà sempre più affidata alla coscienza individuale di ognuno. Ancora non si è riusciti a fare un tampone a ogni malato allettato, crediamo davvero di poter effettuare test immunologici di massa, rilasciare patentini all’intera popolazione, creare con le app una nuova Google Map del Covid?

La fase 2 è arrivata, senza tutti questi accorgimenti che la presupporrebbero, ed è quella della responsabilità. Verso la salute propria e della collettività. E dell’attesa. Di un farmaco, un vaccino, quando gli scienziati capiranno qualcosa in più di questo virus. Del resto dovevamo imparare a conviverci, no?