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Coronavirus, come si calcola l’indice di contagio R0?

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Ecco quanto spiegato dall'epidemiologa Stefania Salmaso in merito al tasso di trasmissione

Il governo ha dichiarato che il valore dell‘indice R0 del coronavirus, ovvero l’indice di trasmissione, è uno dei criteri che verrà preso in considerazione per valutare la possibilità di poter allentare o meno le chiusure e i divieti di spostamento. Ma come si calcola?

L’indice di contagio R0

Come spiegato su Scienza in rete da Stefania Salmaso, epidemiologa ed esperta di statistica medica che ha lavorato presso l’Istituto Superiore di Sanità, il tasso di trasmissione consiste nel valore in grado di descrivere come si diffonde la malattia, quando nessuno è ancora immune e non sono state prese misure per il distanziamento volte a ridurre i contagi. In particolare, se l’R0 è maggiore di uno si ha un’epidemia, mentre se è minore di uno, ovvero ogni malato contagia meno di una persona, allora l’epidemia si estingue.

Come scrive Salmaso, quindi, l’indice di riproduzione dipende da quante persone al giorno incontra un soggetto malato e contagioso, quanto a lungo rimane tale e “dalla probabilità di trasmissione dell’infezione per singolo contatto. Tutte queste quantità sono difficili da osservare direttamente e in genere ci si basa su stime, sotto diverse assunzioni, che vengono utilizzate per costruire modelli matematici a loro volta più o meno rispondenti al vero a seconda appunto della bontà delle assunzioni”.

Per poi aggiungere: “R0 viene sovente stimato retrospettivamente in modo empirico, ossia osservando la velocità di crescita del numero totale dei casi giorno dopo giorno. Sapendo la data di insorgenza dei sintomi, il tempo di incubazione e l’intervallo di tempo tra la comparsa dei sintomi nel caso primario e la comparsa dei sintomi nei casi secondari (detto tempo seriale) è possibile ricostruire le diverse generazioni di casi e stimare l’indice di riproduzione”.

“Nell’attuale pandemia, R0 è stato stimato all’inizio, ad esempio in Lombardia, con un valore pari a 2,6”, che è abbastanza alto. Le misure di distanziamento sono state introdotte per abbassarlo “dando per scontato che molte infezioni non vengono riconosciute e si possono propagare in modo silente”. Il problema è che al momento non si conoscono con certezza tutta una serie di dati che servono a poter stimare con precisione R0. “Quando manca la data di inizio dei sintomi, viene usata la data dell’accertamento virologico dell’infezione. Se gli accertamenti fossero fatti tutti alla stessa distanza dall’inizio dei sintomi, usare una data o l’altra non farebbe grande differenza per riconoscere le diverse generazioni di contagi, ma in realtà sappiamo che il sistema di accertamento è andato in affanno in molte aree del Paese e i tamponi sono stati effettuati come si poteva, quando si poteva”. L’indice di riproduzione generale, inoltre, è “una stima di intensità di trasmissione nella popolazione generale in cui si assume che tutti abbiano le stesse probabilità di contrarre l’infezione”.

Allo stesso tempo bisogna valutare che chi sta a casa da solo ha una probabilità molto più bassa rispetto a chi convive con un positivo accertato, oppure di un lavoratore di strutture sanitarie come le Rsa dove ci sono già state infezioni accertate. “Anche qui, nella conta quotidiana dei casi diagnosticati, sembra importante sapere quanti di questi siano associati a un medesimo focolaio di contagi. Perché in quel caso la trasmissione non è riferibile alla popolazione generale, bensì ad un contesto circoscritto”.