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Il lavoro nei campi non piace agli italiani: scarsa adesione

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Il lavoro nei campi non piace agli italiani. A confermarlo sono le scarse adesioni, registrate in queste settimane, alle richieste di forza-lavoro.

Il lavoro nei campi non piace agli italiani. A confermarlo è la scarsa adesione che, in piena emergenza Coronavirus, si è registrata nel Bel Paese. Un esempio è quanto accaduto ad Avezzano, in Abruzzo, dove solo 152 i braccianti agricoli italiani disponibili a fronte di migliaia di extracomunitari mancanti. C’è quindi stata una scarsa adesione all’appello delle associazioni: si calcola che solo nel Fucino manchino 3.500 braccianti. Le aziende sono pertanto pronte ad applicare il “piano B” per limitare l’impatto dovuto alla forte carenza di manodopera: la semina di prodotti, ovvero, patate, carote e pomodori la cui raccolta è totalmente meccanizzata. Soluzione di ripiego destinata a impattare negativamente sul sistema.

Il lavoro nei campi non piace agli italiani

Nessuno vieta agli italiani di andare a lavorare nei campi“. Sono le parole della ministra alle Politiche Agricole, Teresa Bellanova, sulla mancanza di manodopera nei campi durante il periodo di emergenza di coronavirus. “Gli italiani disoccupati si iscrivano a un centro per l’impiego sulle piattaforme di incrocio di domanda e offerta di lavoro”. Secondo la ministra Bellanova, in questo periodo, non c’è il rischio che gli italiani disoccupati si trovino in concorrenza con i lavoratori stranieri che potrebbero essere disposti, invece, ad accettare paghe molto basse. “Lo sfruttamento dei lavoratori nelle mani dei caporali, fino alla schiavitù – spiega la Bellanova – comporta un abbassamento dei costi. Regolarizzare questi lavoratori significa garantire il rispetto delle regole”.

E a conferma che gli italiani sono i meno propensi al lavoro dei campi ci sono anche i dati statistici. Più di un quarto del raccolto ortofrutticolo in Italia ogni anno è fatto da lavoratori stranieri, tra comunitari, extracomunitari e irregolari. Ma il coronavirus ha reso il loro arrivo complicato, tra divieti di transito alle frontiere (prima) e obbligo di quarantena (ora). Morale: all’appello mancano 250mila stagionali. Secondo i dati della Coldiretti, un terzo di questi arrivano dalla Romania; poi ci sono i marocchini (circa 35mila presenza l’anno scorso), gli indiani (34mila), gli albanesi (32mila), i senegalesi (14mila), i polacchi (13mila), i tunisini (13mila) e i bulgari (11mila).