> > Silvia Romano, parla l'islamologo: "Conversione spesso dovuta a traumi"

Silvia Romano, parla l'islamologo: "Conversione spesso dovuta a traumi"

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In merito alla conversione di Silvia Romano, l'islamologo Paolo Branca ha spiegato come molto spesso queste decisioni passino attraverso dei traumi.

Tra gli elementi che più hanno fatto discutere della liberazione di Silvia Romano c’è quello della sua conversione alla religione islamica. Avvenimento già accaduto in passato con altri ostaggi tenuti prigionieri da formazioni jihadiste nel mondo ma che mai avevamo potuto osservare così da vicino nel caso di un nostro connazionale rapito dai miliziani. Al fine di rendere più chiaro il contesto nel quale è immersa l’intera vicenda, il quotidiano Il Giornale ha intervistato l’islamologo Paolo Branca, docente di Storia delle religioni all’Università cattolica di Milano.

Silvia Romano, il parere dell’islamologo sulla conversione

Secondo il professor Branca, quasi sempre la conversione a un’altra religione è caratterizzata da un evento traumatico di fondo che indurrebbe la volontà di un allontanamento da esso attraverso una nuova fede: “Per esperienza personale, avendo conosciuto sia cristiani convertiti all’islam che musulmani divenuti cristiani, mi pare di poter dire, in generale, che un passo del genere non è mai banale. Non si cambia religione come bere un bicchiere d’acqua. Anche in condizioni ‘normali’, c’è spesso un trauma all’origine del distacco dalla fede dei propri genitori e non a caso molti si vedono poi impegnati più a denigrare la religione abbandonata che a magnificare la nuova”.

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Una spiegazione di tipo psicologico la si potrebbe ravvisare anche nell’abbigliamento con il quale Silvia Romano si è presentata all’aeroporto di Ciampino una volta tornata in Italia. Il tradizionale abito somalo indossato dalla volontaria italiana infatti potrebbe essere servito anche come strumento di difesa inconscia verso il mondo esterno: “Il velo, nelle sue varie forme, per esempio, è simbolo di modestia e castità, oltre che di sottomissione a Dio. Al di là di questo, però, credo che chi esce da una simile esperienza possa anche sentirsi ‘protetto’ dal velo dai molti sguardi che si vedrà puntati addosso”.

Il ruolo del Corano

Per quanto riguarda invece la lettura del Corano eseguita durante la prigionia (ancora non è chiaro se la Romano abbia chiesto esplicitamente il testo sacro e se le sia stato imposto dai rapitori) il professor Branca vede in ciò un elemento con cui la ragazza è riuscita in qualche modo a preservare la propria salute mentale: “In situazioni di grave privazione della libertà, qualsiasi suono, immagine e persino odore possono diventare ossessivi o consolatori. […] Tutti i testi sacri di ogni religione hanno parole di conforto e speranza per gli esseri umani che vivono l’esperienza del limite, del dolore e della morte. Il Corano, in particolare, sottolinea l’abbandono fiducioso al volere divino anche nelle avversità, fino a un certo grado di fatalismo che, in situazioni estreme e senza uscita, può risultare consolatorio”.