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Silvia Romano, Al Shabaab commenta il riscatto: poi arriva la smentita

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"Il riscatto di Silvia Romano servirà per finanziare la jihad". A dirlo è il portavoce di Al Shabaab, ma in seguito arriva la smentita ufficiale.

Il riscatto di Silvia Romano continua a infiammare il dibattito pubblico italiano. La cifra di quanto pagato per poter ottenere la libertà della cooperante rapita a novembre 2018 non è stata resa nota. Le polemiche sul pagamento del riscatto riguardano la possibilità di finanziare gli atti terroristici dei gruppi islamici. E a conferma di ciò arriva un’intervista (successivamente smentita dalla stessa organizzazione) di La Repubblica al portavoce di Al Shabaab Ali Dehere, il gruppo terroristico che ha sequestrato Silvia Romano. Sulla cifra realizzata glissa con un no comment, ma sull’uso di questi soldi non ha dubbi: “In parte serviranno ad acquistare armi, di cui abbiamo sempre più bisogno per combattere la jihad. Il resto servirà a gestire il Paese: a pagare le scuole, a comprare il cibo e le medicine che distribuiamo al nostro popolo, a formare i poliziotti che mantengono l’ordine e fanno rispettare le leggi del Corano”.

Riscatto per Silvia Romano, la smentita

A due giorni dalla pubblicazione dell’ormai celebre intervista sul quotidiano La Repubblica, l’organizzazione jihadista somala Al Shabaab ha tuttavia negato che il suo portavoce Ali Dehere abbia mai rilasciato dichiarazioni in merito al riscatto pagato dall’Italia per la restituzione di Silvia Romano.

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La stessa formazione islamista ha infatti bollato l’intervista pubblicata dal quotidiano italiano come fake news, aggiungendo: “Non c’è stata nessuna intervista del portavoce con nessun media sul caso Romano”. La smentita di Al Shabaab è stata pubblicata il 14 maggio sul sito SomaliMemo, uno dei canali di informazione utilizzati dal gruppo per diramare i propri comunicati.

Le presunte dichiarazioni di Al Shabaab

Sul rapimento di Silvia Romano Ali Dehere, portavoce di Al Shabaab, avrebbe raccontato a Repubblica: “Al rapimento e alla sua gestione hanno partecipato in tante persone. Non era organizzato: c’è una struttura in seno ad Al Shabaab che si occupa di trovare soldi per far funzionare l’organizzazione, la quale poi li ridistribuisce al popolo somalo. È questa struttura che gestisce le diverse fonti d’introiti”. Sulla durata del rapimento – 18 lunghi mesi di prigionia – il portavoce dei rapitori non si sarebbe espresso ma avrebbe evidenziato perché hanno effettuato continui spostamenti: “Siamo in guerra e i droni americani e l’artiglieria pesante keniana non bombardano soltanto le nostre postazioni militari ma anche i nostri i villaggi e le nostre città, provocando un gran numero di vittime civili. Ogni ostaggio è un bene prezioso, quindi appena c’era il minimo rischio che la zona dove tenevamo nascosta Silvia Romano era diventata un possibile bersaglio per i nostri nemici, sceglievamo un altro nascondiglio”.

Le condizioni durante il rapimento

Silvia Romano non ha mai sofferto. Anche perché lei non era un prigioniero di guerra che vengono trattati diversamente dagli ostaggi: “I prigionieri di guerra li passiamo per le armi, esattamente come fa l’esercito somalo quando cattura un soldato di Al Shabaab. – avrebbe raccontato Ali Dehere – Prima di giustiziare i prigionieri, le truppe di Mogadiscio li torturano per farli parlare, per estorcere tutte le informazioni possibili sulle nostre postazioni strategiche o sulla struttura di comando del nostro gruppo. Ma i nostri soldati sono addestrati anche a soffrire, perciò molti muoiono sotto tortura senza rivelare nulla. Noi invece non dobbiamo torturare nessuno, perché sappiamo tutto, avendo a Mogadiscio infiltrato i nostri uomini in ogni istituzione, ministero, partito politico e perfino nell’esercito somalo”.

Chi sono i rapitori di Silvia Romano?

Ma chi sono i rapitori di Silvia Romano, ovvero l’organizzazione Al Shabaab? “Riduttivo definirci terroristi. Controlliamo gran parte del Paese, soprattutto nelle aeree rurali. Ma siamo presenti anche nelle periferie delle città. Eppure non siamo riconosciuti dalla comunità internazionale, forse perché vogliamo che la Sharia (letteralmente strada battuta, è l’insieme delle regole di vita e di comportamento dettate da Dio per indicare ai suoi fedeli la condotta morale, religiosa e giuridica, ndr) sia legge anche a Mogadiscio e perché chiediamo che le truppe dell’Amison, la missione Unione africana in Somalia, lascino il Paese“.

E i nemici di questa organizzazione sono “anzitutto la classe politica corrotta che governa la capitale e che senza la massiccia presenza delle truppe straniere e senza i generosi aiuti degli Stati Uniti spazzeremmo via in due giorni. Ma diamo anche la caccia a tutti i traditori della jihad, che sono quei vigliacchi che per paura rinunciano a combattere”.