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Se continuate così, Silvia Romano si sentirà sempre più vicina ai suoi carcerieri

silvia romano corano facebook

Nei cocci di vetro contro la finestra di Silvia Romano c'è la più becera delle spinte, la più inutile, verso chi l'ha rapita.

I cocci fanno rumore, il rumore che fanno le cose sonore quando il vetro lanciato si gemella con il vetro messo a barriera di una vita, vita privata. E una cosa è certa, se esisteva un modo per avvicinare davvero Silvia Romano all’Islam e se dovesse emergere che davvero avevate lei, anzi, Aisha, nel mirino, voi lo avete trovato. Facendo di una bottiglia il proiettile proiettante le vostre piccinerie, le vostre acredini da strapaese, il vostro incalzare la preda designata dal pensiero mainstream. E trascurando un fatto semplice quanto ignoto al vostro pensiero: che se cioè la reazione di una società si concretizza nell’azione violenta di spregio di ciò che una persona si è deciso debba incarnare, allora quella persona deciderà che forse e tutto sommato, incarnare quel ruolo appiccicatole addosso come una buccia di fico è davvero l’unica via.

La scelta della conversione

Eppure questa regola fissa di vita l’avete incontrata tutti. Perfino da bambini, quando bullizzavate lo sfigato di turno al punto che lui, un po’ alla volta, si convinceva che essere vittima era la sola chiave di volta della sua esistenza, avviandosi inconsciamente a scegliere il balcone da cui buttarsi urlando arrivato a 30 anni. Perché che voi siate stati dei bulli ieri prima di esserlo oggi è un dato certo. Silvia Romano, lo hanno capito pure i sassi, è creatura che ha fatto una scelta a cui è mancata la serenità della ponderazione, o la ponderatezza della serenità. E ci mancherebbe, dato che pare molti ignorino che ha passato 18 mesi con i peggiori tagliagole del pianeta, non in sodalizio ma in prigionia e finiamola di sciorinare boiate.

Una scelta che si è trascinata in maniera cinetica fin qui in Italia, paese in cui è tornata non immune dalle lusinghe di una fede diversa dalla nostra, anzi, incasellata formalmente in essa, con il formalismo spinto di chi magari ancora non ha deciso dentro e deve essere decisionista fuori. Scelta diversa, non migliore, non peggiore, semplicemente diversa ancorché professata nella sua versione più aberrante ed abominevole dai suoi carcerieri.

È troppo suggerirvi di riflettere sul fatto empirico che questo non fa di lei una tagliagole, non più di quanto approdare al Cristianesimo renda automaticamente corresponsabili dell’Inquisizione? Ma il dato è che Silvia ha abbracciato l’Islam e ha il diritto di utilizzare la ritrovata serenità del nuovo contesto figlio del suo ritorno per affinare quella scelta o per ricusarla, arrivando magari alla consapevolezza che essa era stata il ripiego emergenziale di un animo che cercava sponde.

Non spingiamo Silvia Romano verso i suoi carcerieri

A noi non interessa dove Silvia andrà a parare con le sue faccende di fede, a noi però sarebbe dovuto interessare, a noi tutti ed a voi che lanciate vetro su vetro, che a spingere Silvia nelle braccia dell’Islam fosse una lunga chiacchierata con se stessa nel salotto di casa sua, non nel tukul dell’imam sparatutto che l’ha soggiogata per due anni e rotti. E soprattutto che quell’abbraccio non fosse preceduto da una spinta. La più becera delle spinte, la più inutile: quella che grazie ad un singolo fatto e ad un merletto social vergognoso ti porta ad identificare casa tua, la tua nazione, la tua città, il tuo quartiere, come il luogo del pericolo che corre chi è rifiutato. Perché vetro su vetro fa rumore, perché le schegge infrante non feriscono solo le mani a prenderle, ma anche l’anima a guardarle a terra, mentre ti dicono che in giro c’è chi ti odia perché la pancia del tuo paese sta marcendo. E allora tu scegli, e non scegli quello che desideri, ma quello che di certo non vuoi più.