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Il diario della prigionia di Silvia Romano: "Vi imploro, liberatemi"

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Il diario di Silvia Romano, la cooperante milanese rapita nel novembre 2018 e liberata a maggio 2020.

Silvia Romano, durante la sua prigionia, ha affidato i propri pensieri, i propri timori e le proprie speranze alle pagine di un diario. Nei diciotto mesi lontani da casa, da novembre 2018 a maggio 2020, la paura più grande era quella di non tornare più a casa: “Vi prego – si legge in uno dei tanti passaggi del diario di prigionia – liberatemi. Vi supplico!” Questo messaggio è del 17 gennaio 2020, dopo un anno pieno di carcerazione. E fa emergere tutta la paura di Silvia Romano che – stando a quanto sostenuto da chi l’ha interrogata domenica 10 maggio – soffre di stati d’ansia e non è per nulla tranquilla. L’incubo per la giovane cooperante, come si legge nel suo diario, è iniziato così: “Qualche giorno prima del rapimento erano venuti a cercarmi due uomini al villaggio di Chakama in Kenya. Quando l’ho saputo non ho dato importanza alla cosa”. Ma è il segnale che qualcosa stava per succedere.

Il diario di Silvia Romano

Nel diario di Silvia Romano si legge il primo viaggio da rapita: “Il viaggio nella giungla è stato tremendo. Le moto si sono rotte subito e quindi abbiamo continuato a piedi per un mese. Mi hanno tagliato i capelli perché dovevamo passare in mezzo ai rovi. Ero terrorizzata. Faceva caldo, ma poi la notte c’era freddo e dormivamo all’aperto. Mi hanno dato i vestiti e anche alcune coperte. Abbiamo dovuto attraversare un fiume. Il fango mi arrivava alla vita. Dopo ho saputo che siamo stati in cammino un mese”. Al suo arrivo nel primo covo dove i rapitori l’hanno tenuta, Silvia Romano racconta cosa ha provato: “Mi hanno chiuso in una stanza, dormivo su un pagliericcio. Mi davano da mangiare e non mi hanno mai trattata male, non sono stata incatenata o picchiata. Non sono stata violentata. Però ho chiesto un quaderno. Volevo tenere il tempo, capire quando era giorno e quando scendeva la notte. Volevo scrivere tutto. Ho chiesto anche di poter leggere libri”.

E sulla conversione, nel diario di Silvia Romano si legge come tutto sia iniziato perché voleva leggere qualcosa: “Volevo pregare e mi hanno messo il Corano scritto in arabo e in italiano. Mi hanno anche dato dei libri. Ero sempre da sola e a un certo punto mi sono avvicinata a una realtà superiore. Pregavo sempre di più, passavo il tempo a studiare quei testi. Ho imparato anche un po’ di arabo”. I rapitori le mostravano video “su quello che accadeva fuori, li prendevano da Al Jazeera. Io vivevo chiusa nella stanza ma sentivo vociare fuori e il richiamo del muezzin. Questo mi ha fatto pensare che fossero caseggiati, erano villaggi con altre persone anche se io ho visto soltanto i sei uomini che mi tenevano prigioniera. Erano divisi in due gruppi da tre. Non ho mai visto donne”.

La liberazione di Silvia Romano

Nelle pagine del diario di anche il racconto di quando ha scoperto di essere salva: “All’improvviso entra l’uomo che parla inglese. Mi disse che l’operazione era finita, che mi liberavano. Dopo qualche giorno è venuto a prendermi. Mi ha fatto salire su un carretto trainato da un trattore. Sopra c’era un tavolo. Il viaggio è durato tre giorni e due notti. per dormire mi sono messa sotto il tavolo con le coperte”. E sulla consegna racconta: “C’erano due uomini, erano somali. Abbiamo fatto un tratto che non è durato tanto”. Fino ad arrivare all’ambasciata italiana: “Sto bene fisicamente e psicologicamente, adesso mi chiamo Aisha”.