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Wanda, morta in ospedale: "Legata a letto e imbottita di morfina"

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Il drammatico racconto del figlio Piero: la mamma, positiva al Coronavirus, è stata ricoverata. "Così mia madre è morta in ospedale".

Wanda, positiva al Coronavirus, imbottita di morfina e legata a letto, è morta in ospedale. Questa è la denuncia del figlio Piero che da settimane non riesce più a darsi pace. La drammatica denuncia arriva da Tpi. Il figlio racconta quanto accaduto alla povera mamma nel corso delle prime due settimane di aprile. “L’hanno imbottita di morfina, ansiolitici, antipsicotici, antidepressivi, altri oppiacei fino a quando il suo cuore ha ceduto. Tutto questo solo perché non sopportava il casco”. Piero, 43 anni, racconta come la mamma di Ariano Arpino sia stata: “Immobilizzata anche alle braccia e alle gambe, come se fosse una criminale forzuta, invece pesava 58 kg ed era alta 160 cm. Non mi hanno mai detto niente. Niente. E soprattutto mai che stavano praticando l’eutanasia, perché questa è! Poi se vogliamo chiamarla cura palliativa, che accompagna il paziente alla morte, la sostanza non cambia. Capisce?!”.

Coronavirus, Wanda ‘curata’ con morfina

Wanda, 75 anni, aveva solo un po’ di diabete e viveva tranquillamente con un rene solo (l’altro le era stato asportato anni prima a causa di un cancro in età giovanile). Quando si è ammalata di Coronavirus è stata ricoverata in ospedale. Aveva saturazione a 88 e stava per svenire. Il figlio Piero, però, evidenzia come sia stata trattata, nel ricovero, come una paziente da Coronavirus ma non nelle cure: “Dopo i primi giorni aveva la saturazione a 99, perché la tenevano con il casco?”. E proprio questo strumento che aiuta la ventilazione ha causato gli attacchi di panico in Wanda: la donna non sopportava questo ausilio e se lo toglieva. Ciò ha spinto il personale sanitario a ricorrere a provvedimenti ‘drastici’: sedata con morfina e legata a letto. Questa la denuncia del figlio Piero.

“Mia madre è morta da sola, tra atroci sofferenze. Chissà quante volte avrà gridato il mio nome, per portarla via da lì. Non l’ho potuta salutare, darle un bacio. Nemmeno vestirla, pettinarla. L’hanno avvolta in un nailon con il pigiama addosso, con soluzione di varichina nel sacco”, racconta disperato Piero. Wanda, dopo cocktail di morfina, ansiolitici e antidepressivi era confusa. Così racconta il figlio: “Il 12 aprile vedo mia mamma in videochiamata. Era stordita. Rallentata. Chiedevo spiegazioni, mi dicevano che la situazione era critica visto che non sopportava il casco e che l’avrebbero trasferita nel reparto di Pneumologia e malattie infettive”. La donna, per giorni, ha la saturazione a 99 e nessun altro problema fisico se non un po’ di glicemia alta: “Ma non capisco tutte quelle somministrazioni infinite di morfine e sedativi senza l’ombra di una terapia anti Covid. Un altro genere di malato mi verrebbe da dire leggendo le pagine stilate da infermieri e medici”.

Lo sfogo di Piero

Il 15 aprile – giorno prima della morte di Wanda – la donna si agita e come riportato dalle cartelle cliniche costringe gli operatori sanitari a immobilizzare braccia e gambe per tre volte, come risulta dal referto clinico. Secondo il personale sanitario, quel gridare nella notte era il sintomo di un “delirio acuto a tratti allucinatorio” della donna. Il giorno dopo Wanda smette di lottare. E Piero continua nel suo accorato grido disperato: “L’unica colpa che ha avuto mia mamma è che non sopportava il casco. Non tollerare i presidi medici molto invasivi, (che fanno urlare i giovani figurarsi lei che soffriva di ansia) è una giustificazione per attuare il protocollo di cure palliative?”.

Matteo Stocco, dg della Ast “Santi Paolo e Carlo” di Milano, ha precisato come i medici: “Abbiano assistito molti pazienti affetti da Covid, alcuni dei quali, con prognosi infausta e non più responsivi ai trattamenti specifici, hanno potuto beneficiare delle cure palliative. I protocolli clinici utilizzati sono stati quelli comunemente utilizzati e raccomandati dalle Società scientifiche e dalle Linee guida nazionali ed internazionali”.