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Bracciante chiede mascherina: percosso e gettato in un canale a Latina

Un bracciante agricolo, dopo essere stato licenziato, viene gettato in un canale a Terracina.

Un bracciante agricolo è stato licenziato, percosso e gettato in un canale dai proprietari dell'azienda agricola dove lavorava a Terracina.

Brutta avventura per un bracciante agricolo che a Terracina, in provincia di Latina, avrebbe fatto richiesta al titolare dell’azienda tutti i dispositivi di protezione individuale per proteggersi dal coronavirus. Il trentatreennenne di origini indiane, dopo essere stato licenziato e aver chiesto di essere retribuito per il lavoro svolto, sarebbe stato percosso e poi gettato in un canale. A carico dei proprietari dell’azienda agricola, padre e figlio, sono state emesse dalla polizia, su ordinanza del gip del Tribunale di Latina, due misure cautelari, ossia arresti domiciliari per il primo e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per il secondo.

Percosso e gettato in un canale

Le indagini sono cominciate nel momento in cui il giovane ha raggiunto il pronto soccorso dell’ospedale di Terracina presentando ferite alla testa, fratture e lesioni in diverse parti del corpo. L’attività investigativa svolta dal commissariato di polizia ha accertato che il lavoratore ha subito l’aggressione dopo aver fatto richiesta dei dispositivi di protezione individuale per difendersi dal coronavirus. Dopo essere stato licenziato, il bracciante, per il solo fatto di avere chiesto i soldi relativi al lavoro svolto, è stato minacciato, aggredito e gettato in un canale di scolo. I due proprietari dell’azienda agricola sono ora ritenuti responsabili, in concorso fra loro e a vario titolo, di estorsione, rapina e lesioni personali aggravate per lo sfruttamento di braccianti agricoli stranieri all’interno della propria azienda. Sono stati infatti identificati dagli investigatori altri braccianti agricoli di origini straniere al servizio dell’azienda in questione.

Il commento della ministra Bellanova

Gli investigatori hanno individuato “un sistematico sfruttamento economico, con condizioni di lavoro difformi alla vigente normativa in materia di sicurezza e sanitaria”. Durante un controllo effettuato in azienda, nessuno dei lavoratori aveva i dispositivi a tutela della normativa di sicurezza e dell’igiene, che sono invece stati trovati nella case dei due indagati. “Sono questi i motivi per i quali sono sicura che quella per la regolarizzazione sia stata una battaglia giusta. La sicurezza è un diritto. Avere un lavoro con orari e paga dignitosi è un diritto. Dove lo Stato non c’è, dove si insinua il caporalato, questi diritti vengono negati. Sono orgogliosa di dire che questa volta lo Stato è stato presente ed ha restituito a queste persone i loro diritti e la loro dignità”, ha così commentato il fatto la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova.