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Essere servitori dello Stato, a volte, è una scommessa perdente

lettera buttarello presidente repubblica

la storia di Luca Buttarello, agente della Polizia di Stato malato di tumore cerebrale e costretto a un risarcimento di 310mila euro.

Luca Buttarello, 54 anni, agente della Polizia di Stato, residente a Padova, ha scritto al Presidente della Repubblica. Una lettera educata e formale, ma il contenuto è quello di un disperato messaggio in bottiglia, rimasto finora senza risposta. Per 35 anni Luca ha servito lo Stato, e ora è malato. Una brutta malattia: un raro tumore cerebrale (‘glioblastoma’; neoplasia maligna astrocitaria di IV grado secondo la classificazione OMS) contro cui sta cercando di combattere, nonostante le poche risorse economiche per farlo.

Che cos’è che rende la situazione qualcosa che va al di là di una drammatica vicenda sanitaria? Il fatto che Luca è convinto con che la malattia che lo ha colpito altro non sia che il velenoso “frutto’ di 27 anni di preoccupazioni, ansie, sofferenze, notti insonni ed esborsi di denaro per tentare di difendermi con infiniti rispetto e pazienza ‘nel’ sistema processuale (penale, contabile e disciplinare)”. Luca si arruolò nell’estate del 1985, orgoglioso di vestire una divisa. Lo ha fatto serenamente per soli sette anni.

Il 31 marzo del 1992, in una stazione della metropolitana di Milano, nel corso di un’identificazione, un poliziotto (L.T.) avrebbe dato una ginocchiata al Signor G.C., colpendogli le parti genitali. A distanza di tempo il signor G.C. prospettò all’Autorità Giudiziaria che gli effetti di quella ginocchiata lo costrinsero a ricorrere all’orchiectomia di una ghiandola genitale. Ma che c’entra Luca? Arrivò dopo, e certo pronto a fornire aiuto ai colleghi, se ve ne fosse stato bisogno. Ma non deve fare nulla, e proprio quel “nulla” gli è fatale, in anni di processi.

Viene condannato in via definitiva a otto mesi di reclusione per non avere impedito che L.T. desse la ginocchiata al Signor G.C. E, dopo la condanna, il conto. Il Dipartimento di pubblica sicurezza gli ingiunge di pagare al Ministero dell’Interno più di 310mila euro, cioè quanto il Ministero ha pattuito, in una transazione da cui Buttarello era escluso, di versare alla vittima della ginocchiata. Una somma lievitata molto più degli interessi, dato che inizialmente la Prefettura di Milano aveva pattuito un versamento alla parte lesa di poco più di 40mila euro..

Una somma che si sarebbe dovuta dividere tra i quattro poliziotti, giustamente o ingiustamente condannati. Ma dei quattro, compreso l’autore del gesto che è all’origine di tutto il procedimento, l’unico a risultare “solvibile”, e cioè in grado di pagare è proprio e solo lui: un’omissione, costata carissima. Una somma che “un poliziotto come me, che dopo 35 anni di servizio guadagna grossomodo 1.500,00€ al mese, potrebbe pagare solo con 7 liquidazioni di TFS (Trattamenti di Fine Servizio) o, in alternativa, con un gigantesco mutuo della durata di almeno ottant’anni”.

La lettera dell’agente Buttarello, inviata i primi di maggio, non ha finora ricevuto risposta. Più sollecito è stato il Ministero dell’Interno, che gli ha pignorato un quinto dello stipendio ed ipotecato la casa di famiglia a lui intestata, un vecchio immobile frutto di una vita di lavoro del padre ultra-novantenne.

L’art.40 del C.P. spiega che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” e la Corte ha ritenuto che vi sia stata una mia condotta omissiva”, ammette Luca, ma è davvero difficile dimostrare che in pochi secondi, a distanza, uno possa impedire un’inaspettata ginocchiata sferrata da un collega. Il problema è che sarebbe stato Luca a dover dimostrare il contrario. E Luca, adesso, malato, deve rispondere anche per gli altri colleghi condannati.

“Mai nella mia vita ho pensato di porre deliberatamente in essere un atto reato o di diventarne un consapevole complice e credo di non meritare un trattamento come quello inflittomi, di una gravità imponente e di un’entità gigantesca che mi schiaccia impietosamente come in una brutale e crudele morsa. Io non posso trovare dentro di me la forza di combattere per sopravvivere ad un tumore e, contemporaneamente, portarmi un fardello debitorio del genere sulle spalle. In queste condizioni, paradossalmente, sarebbe meno complicata e meno dolorosa una pena di morte”. Essere servitori dello Stato, a volte, è una scommessa perdente.