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Coronavirus e tamponi: uomo guarisce ma non può tornare al lavoro

Iss e gli errori nei tamponi per Coronavirus

La storia del 48enne milanese che, guarito dal coronavirus, non può tornare al lavoro perchè senza test. L'odissea iniziata a marzo.

Perde il padre e si ammala di coronavirus, guarisce e chiede di tornare al lavoro: senza il tampone è impossibile. L’odissea di un 48enne milanese che non può tornare al lavoro poichè senza test e risposte.

L’odissea dell’uomo

La storia è lunga e intrecciata. Siamo a Milano, la grande sorvegliata insieme alla Lombardia, dove un 48enne lotta da mesi tra malattia e burocrazia: perde il padre a causa del coronavirus, e vince la sua battaglia contro la malattia dopo essere rimasto contagiato anche lui. Ora l’uomo vorrebbe tornare al lavoro, e sta lottando per farlo, ma senza tampone non può ottenere il via libera e tornare alle sue mansione nella società di Venezia Studio3A-Valore Spa – che si occupa di risarcimento danni in particolare in casi di incidenti stradali, infortuni sul lavoro e malasanità. Così è obbligato a restare a casa in malattia “forzata”. Il presidente dell’azienda, Ermes Trovò, fa sapere di avere inviato una lettera di protesta alla Regione Lombardia per quanto accaduto: “Abbiamo messo in sicurezza tutta l’azienda e vogliamo ripartire. In questo caso, la terrificante burocrazia costringe un nostro dipendente, peraltro già duramente segnato dalla pandemia, a non riprendere il lavoro. Semplicemente assurdo“.

La storia da capo

Il padre del 48enne milanese muore il 5 marzo all’ospedale di Niguarda, all’età di 89 anni per coronavirus: “Abbiamo chiesto di poterci sottoporre al tampone, ma ci hanno detto di tornare a casa e di attendere la chiamata dell’Ats. Chiamata che non è mai arrivata”. L’uomo racconta la sua storia, che da quel giorno subisce una brutta impennata: la famiglia si chiude in casa e inizia ad accusare i sintomi del Covid-19, nel frattempo l’Ats obietta rispondendo che “nelle loro condizioni non è necessario fare il tampone”. Tempo una settimana e anche il cognato viene trasportato d’urgenza all’ospedale, dove per due settimane resta intubato e in gravi condizioni: l’uomo, con la sorella, restano a casa con 39 di febbre per più di una settimana nonostante i farmaci con altre tre settimane di malessere in generale, con alterazioni della temperatura meno forti. La madre, contagiata, rimane attaccata alla bombola d’ossigeno. Prosegue l’uomo: “L’Ats ci ha chiamato un paio di volte per informarsi sulle nostre condizioni, ma non ci hanno mai fatto fare il tampone”. Alla fine la famiglia vince il virus, e ora l’uomo vorrebbe tornare al lavoro dopo il lockdown, ma il medico – secondo le disposizioni da attuare in caso di paziente ex positivo – richiede il test del tampone. “Nonostante la Regione abbia introdotto la possibilità di realizzare i test anche nei laboratori privati, a pagamento, la procedura non è per nulla semplice e, soprattutto, bisogna prima sottoporsi al test sierologico – spiega il 48enne – Solo in caso di positività, che nello specifico è pacifica, si può richiedere il tampone”. Tale appuntamento, infine, è stato fissato per il 5 giugno, poi bisognerà aspettare il tampone e attendere l’esito. L’uomo, nel frattempo, resta a casa in malattia nonostante sia guarito.