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Coronavirus, Maga a Zangrillo: "Non è mutato: i rischi ci sono ancora"

Coronavirus Maga Zangrillo

Giovanni Maga si è espresso sulle affermazioni di Zangrillo sostenendo che le persone suscettibili al coronavirus sono ancora molte.

Continuano le repliche da parte di diversi esponenti del mondo scientifico alle parole di Alberto Zangrillo, il direttore della Terapia Intensiva del San Raffaele secondo cui il coronavirus sarebbe clinicamente morto: tra gli esperti che hanno espresso riserve sulle sue affermazioni vi è anche Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia.

Coronavirus: Maga replica a Zangrillo

Pur non essendo medico, ci ha tenuto a sottolineare che nonostante clinicamente le manifestazioni della patologia siano in generale più lievi, è anche vero che in Italia sono oltre 40.000 i positivi censiti, di cui circa 6000 ricoverati e oltre 400 in terapia intensiva. Alla luce di ciò ritiene quindi che non sia possibile garantire che tutti i malati avranno un esito benigno tale da giustificare l’affermazione che l’infezione non sarebbe più un problema clinico.

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É vero infatti che i decessi e i contagi sono diminuiti, però “posto che anche negli scenari più ampi difficilmente potremmo pensare di avere raggiunto una soglia prossima a garantire l’immunità di gruppo (cioè circa 30 milioni di persone immuni), esiste una quota significativa di persone suscettibili“.​

Il che vuol dire che il rischio di epidemia, che si spegne solo quando il tasso di guarigione è più alto di quello di contagio, è ancora alto. A meno che ci sia qualche studio che illustri che il virus sia mutato geneticamente diventando più debole. Ipotesi che, come sostenuto da diversi scienziati, al momento non è dimostrata. Pur ritenendo possibile l’esistenza di fattori ambientali che riducano l’infettività, non ha potuto non ammettere che questi potrebbero mutare nel tempo. E dunque “risulta difficile affermare che il problema non esiste più neppure dal punto di vista squisitamente clinico“.

Ha infine concluso citando il caso della Corea del Sud per dimostrare che le dinamiche delle epidemie non sono sempre prevedibili in maniera assoluta.