> > La lotta contro il coronavirus è roba da ricchi

La lotta contro il coronavirus è roba da ricchi

app immuni prevenzione per ricchi

Chi non può permettersi di acquistare un telefono nuovo, non può che arrendersi di fronte alla barriera digitale.

La prevenzione contro il Covid-19? È roba da ricchi, o almeno da chi può permettersi di comprare un cellulare di ultima generazione. E attenzione, non parliamo di cure, ma degli stessi strumenti che il Ministero della Salute ha messo a disposizione gratuitamente per i cittadini affinché sia ridotto al minimo il rischio di un nuovo contagio nella ‘Fase 2’. Al centro della bufera torna ‘Immuni’, l’app per smartphone che ha il compito di segnalare quando siamo entrati in contatto con un potenziale contagiato dal virus. “Uno scudo di sicurezza per il cittadino” l’aveva definito l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, consigliando a tutti di scaricarla. Peccato che chi ha dribblato le polemiche relative all’invasione della privacy da parte dell’app (che, per forza di cose, tiene comunque continuamente sotto controllo la posizione dell’utente), si è ritrovato con un nuovo scoglio da superare: la versione del sistema operativo del cellulare.

Già, perché, assurdo a dirsi, c’è bisogno di uno smartphone aggiornato per godere delle funzioni di ‘Immuni’. E chi non può permettersi di acquistarne uno nuovo, non può che arrendersi di fronte alla barriera digitale. Insomma, prevenzione sì/prevenzione no è un dilemma ancora (purtroppo) legato al reddito dei singoli. E se è vero che un nuovo cellulare lo si può acquistare anche con poco meno di 100 euro, non è detto che le famiglie – in molti casi ancora in attesa di cassa integrazione – possano permettersi una spesa aggiuntiva.

Un problema che speriamo sarà risolto presto. Il Ministero dovrebbe infatti spingere i cittadini a scaricarla, non creare inutili ostacoli, o il ‘gap digitale’ sarà ancora più sentito e rischia di trasformarsi contemporaneamente in un ‘gap informativo’. Un discorso che avevamo già affrontato con la querelle mascherine: anche lì non si era riusciti a rendere accessibile un presidio sanitario necessario nella fase più calda della pandemia, costringendo le famiglie a esborsi elevati (le mascherine arrivavano a costare anche 10-15 euro al pezzo).

E la conseguenza era la stessa di Immuni: si finiva a risparmiare sulla ‘barriera per i cittadini’, mettendo a rischio tutti. E neanche l’annuncio del calmieramento dei dpi era riuscito a risolvere la situazione. Chiunque si fosse fatto un giro tra le farmacie della propria città se ne sarebbe accorto: acquistare una mascherina a 50 centesimi, come promesso dal premier Conte, era praticamente impossibile. E la colpa non era dei farmacisti in questo caso, visto che gli stessi costi di acquisto dalle aziende erano ben più elevati dei pochi spiccioli richiesti per la vendita all’utente.

Dov’è il cortocircuito? Come sempre, alla base del sistema, in quel modello di distribuzione che spesso non riesce a tenere conto dei bisogni più semplici. Che magari non pensa che tutti possano avere il cellulare aggiornato all’ultimo sistema operativo, se ancora si cercano i soldi per poter mettere il piatto a tavola a fine giornata. Gli annunci rischiano di essere mere parole, se non si invoglia un popolo già frustrato (e in alcuni casi, purtroppo, maleducato) a rispettare le regole mettendosi nei loro panni. Il virus si combatte lottando. Tutti insieme, sullo stesso piano.