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Coronavirus, padre morto a Roma e effetti trovati a Varese: lo sfogo

Coronavirus, padre morto a Roma e effetti trovati a Varese: lo sfogo

Muore a Roma per coronavirus, ma i suoi effetti personali vengono trovati a Varese: la storia di Massimo, raccontata dal figlio Daniele.

Massimo Scacco, 66 anni, muore a Roma per coronavirus, dopo che i medici hanno rassicurato la famiglia sulle sue condizioni; i famigliari chiedono i suoi effetti personali, ma senza successo: un mese dopo il decesso per coronavirus vengono contattai da Varese: “Abbiamo noi gli effetti personali di vostro padre“. A raccontare la vicenda, il figlio Daniele, 34 anni: “Non c’è stato nessun rispetto, né durante la malattia, né dopo il decesso, per lui e per noi famigliari, completamente abbandonati a noi stessi”, racconta a Tgcom24.

Coronavirus, la morte del padre a Roma

Massimo Scacco viveva a Roma e faceva un lavoro che lo portava a contatto con molte persone, per cui è impossibile capire dove o da chi abbia contratto il virus. Ha iniziato a sentirsi male a metà marzo, accusando una febbre che il medico di base ha curato con antibiotico e tachipirina. A partire dal 21 marzo la situazione è precipitata: le sue condizioni di salute sono peggiorate e, giunto in ospedale, è stato sottoposto a tampone, scoprendo di essere positivo al coronavirus.

Parte da quel momento il ricovero. La famiglia riesce a stare in contatto con lui fino al 30 marzo, quando il padre viene intubato. Vengono poi richiamati dall’infermiera il 17 aprile: “Da lei vengo a sapere che mio padre annuisce con la testa e gli occhi. Ci viene ripetuto che è in miglioramento e mi viene fatta la promessa di una videochiamata l’indomani”, racconta il figlio Daniele.

Il giorno dopo, però, la chiamata è per dire che il padre ha avuto un crollo, uno dei due polmoni è collassato e ora non c’è più. Ma al dolore per il lutto, si aggiungerà quello della negligenza.

Il ritrovamento degli effetti personali a Varese

Prima del ricovero, i figli hanno preparato per Massimo una sacca con vestiti e oggetti. Una volta dichiarato il decesso, il figlio Daniele si reca in ospedale per riavere indietro gli effetti personali del padre: “Per quattro giorni ho fatto il giro dei reparti dove mio padre era stato per recuperare le sue cose. Non oggetti di valore economico, ma sicuramente affettivo. Il suo portafoglio dove aveva messo la foto di mio figlio, l’orologio, il telefono, le chiavi di casa e quelle della mia auto, i documenti. Tutto sparito: era scomparsa una sacca con i suoi effetti personali”.

Un mese dopo il decesso per coronavirus Daniele riceve una telefonata: era la Polizia Locale di Varese, che aveva gli effetti personali, la trousse, il portafogli e il telefono del padre. Come hanno fatto questi oggetti a finire a 500 chilometri di distanza?, si chiede Daniele. “La risposta è stata che una persona insistentemente ha fatto avere questo borsello alla polizia locale e che il tutto poteva essere finito tra le lenzuola che da Roma verrebbero sanificate a Varese. Una risposta assurda“.

Daniele, comunque, non ha riavuto tutto indietro: dal portafoglio sono scomparsi i soldi e gli ultimi abiti indossati dal padre sono stati bruciati.

Daniele chiede giustizia

La vicenda di Daniele purtroppo non è un caso isolato. Per questo ha deciso di raccontare la sua storia, per far luce sulla mancanza di rispetto verso i pazienti e i famigliari. “È la rabbia che mi fa raccontare la nostra storia – racconta Daniele.– E vorrei unirmi a tutti gli altri famigliari per avere giustizia. Chi è stato il responsabile del nostro dramma, in particolare? C’è stata troppa mancanza di rispetto per noi ma soprattutto per un malato che soffriva da solo. Una gestione sanitaria nel caos anche qui a Roma. Io ho ricevuto una pugnalata al cuore, mi sembra una storia senza fine e noi siamo stati tutti soggetti impotenti davanti al disastro. Magari nessuno lo sa, perché qui a Roma non portavano via le bare sui camion dell’esercito, ma anche qui abbiamo avuto le nostre vittime. E se si sapesse, magari qualcuno si comporterebbe in maniera più responsabile per contrastare il contagio”.