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Coronavirus, studio rivela presenza di due ceppi diversi in Lombardia

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Secondo uno studio condotto da ricercatori di Milano e Pavia sarebbero due i diversi ceppi di coronavirus alla base dei focolai esplosi in Lombardia.

I casi di Covid-19 apparsi in Lombardia a partire dallo scorso febbraio sarebbero stati generati da due diversi ceppi del coronavirus Sars-CoV-2: è quanto emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’ospedale San Matteo di Pavia e dell’ospedale Niguarda di Milano, che hanno annunciato i propri risultati presso un convegno organizzato dall’associazione culturale “Nova Ticinum” presieduta dal prof. Mario Viganò.

Coronavirus, due ceppi diversi in Lombardia

A illustrare i risultati della ricerca è stato il direttore del reparto di Virologia dell’ospedale San Matteo Fausto Baldanti, che nel corso del convegno tenutosi all’Università di Pavia ha affermato: “Grazie a uno studio che abbiamo condotto con il Niguarda di Milano abbiamo scoperto che ci sono stati due diversi ceppi del virus in Lombardia. Quello circolato nella zona di Bergamo è diverso dal Coronavirus che si è diffuso nelle province di Cremona e Lodi. Due virus differenti tra di loro, per sequenza genetica e caratteristiche, che hanno provocato due diversi focolai.

Il virologo pavese ha inoltre aggiunto come il coronavirus circolasse nella zona rossa di Codogno già dalla metà di gennaio, stando a quanto emerso dagli esami che hanno rilevato anticorpi risalenti a quel periodo: “L’immunità di gregge comunque è ancora lontana dall’essere raggiunta. Sempre dai controlli effettuati è emerso che nella zona rossa di Codogno solo il 23 per cento della popolazione ha incontrato il virus. Da questo dato capiamo quanto sia importante rispettare le regole di prevenzione, dalla mascherina al distanziamento sociale”.

Le donazioni di plasma

Successivamente è intervenuto anche il professor Cesare Perotti, primario del Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, che ha tracciato un bilancio riguardo alla terapia al plasma adottata nella struttura sanitaria: “Abbiamo raccolto 329 donazioni, con donatori giunti anche dal Trentino. Una manifestazione di grande generosità, che ci consente ora di avere a disposizione un numero di sacche di plasma da utilizzare in caso di un’eventuale seconda ondata in autunno. Il ricorso al plasma iperimmune ha ridotto la mortalità dal 15 al 6 per cento.

Perotti ha infine voluto menzionare esplicitamente la Commissione Europea, che ha affidato l’incarico al nosocomio pavese di stilare le linee guida sulla terapia al plasma per tutta Europa: “Il rammarico è che in Italia solo i colleghi dell’ospedale di Mantova hanno deciso di adottare il nostro protocollo: abbiamo calcolato che se l’identica scelta fosse stata adottata in tutta Italia, probabilmente sarebbe stato possibile salvare oltre 3mila pazienti che purtroppo sono morti”.