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Silvia Romano: "Conversione all'Islam come percorso spirituale"

Silvia Romano: "Conversione all'Islam come cammino spirituale"

Silvia Romano parla della conversione all'Islam, rompendo il silenzio. "Il velo per me è simbolo di libertà", afferma la giovane.

Silvia Romano rompe il silenzio e parla della sua conversione all’Islam, tanto criticata al suo arrivo in Italia dopo la prigionia sotto i terroristi in Somalia. Ora si trova fuori Milano e ha deciso di raccontare della sua esperienza spirituale a Davide Piccardo, direttore del giornale online La Luce, portavoce del coordinamento delle moschee di Milano e della Brianza, noto esponente della comunità islamica lombarda.

Silvia Romano parla della conversione all’Islam

“Ero disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo nella paura dell’incertezza del mio destino. Ma più il tempo passava e più sentivo nel cuore che solo Lui poteva aiutarmi e mi stava mostrando come”, esordisce Silvia. Adesso frequenta la moschea di Cascina Gobba e le associazioni a essa legate: “Prima ancora del rapimento ero completamente indifferente a Dio, anzi potevo definirmi una persona non credente”, afferma l’ex cooperante.

Riguardo alla scelta d’indossare il velo, Silvia Romano ne fa una questione di libertà dall’essere considerata un oggetto sessuale. “Pensavo di essere libera prima ma subivo un’imposizione da parte della società, questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata oggetto di offese molto pesanti, spiega, “Per me il velo è simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede d’indossarlo per elevare la mia dignità e il mio onore, coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale”.

Aisha e il suo cammino spirituale

Ora Silvia si fa chiamare Aisha, un nome che le è apparso mentre sognava di essere nel suo Paese natale e che significa “viva”. Mentre si trovava prigioniera dei terroristi, ha chiesto un Corano per poter ingannare il tempo leggendo: “Non ci trovai contraddizioni e fin da subito sentii che era un libro che guidava al bene. Il Corano non è la parola di Al Shabaab!, dice. Il suo è dunque un percorso consapevole di ricerca spirituale continua, attraverso il quale afferma di aver acquisito sempre più consapevolezza dell’esistenza di Dio.

Un altro momento importante è stato a gennaio, ero in Somalia in una stanza di una prigione. Era notte e stavo dormendo quando sentii per la prima volta nella mia vita un bombardamento, in seguito al rumore di droni”, racconta l’ex cooperante, “In una situazione di terrore del genere iniziai a pregare Dio chiedendogli di salvarmi perché volevo rivedere la mia famiglia, gli chiedevo un’altra possibilità perché avevo davvero paura di morire. Quella è stata la prima volta in cui mi sono rivolta a Lui”.