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L’autunno caldo dell’autonomia scolastica

autonomia scolastica

Autonomia ed elaborazione di standard essenziali delle prestazioni: sono queste le più grandi sfide che l'amministrazione scolastica dovrà affrontare.

Immaginare un autunno più “caldo” di un’estate rovente potrebbe sembrare assurdo. Non lo è poi così tanto se si pensa ai dossier bollenti che settembre porterà con sé per l’assoluta necessità di impartire un’accelerata decisiva alla ripartenza. In qualche modo, i nodi da risolvere riguardano aspetti riconducibili – direttamente o indirettamente – alla qualità stessa della nostra democrazia, da uno svolgimento ordinato delle elezioni amministrative in molti comuni e regioni alla riapertura in sicurezza degli istituti scolastici.

Il ritorno alla didattica frontale, infatti, a partire dalla consapevolezza per cui una serie di concause hanno prodotto la dinamica grottesca per cui i luoghi della formazione e della ricerca sono stati e primi a chiudere e sono gli ultimi a dover ancora riaprire, non potrà più essere rinviato.

D’altronde, non c’è dubbio che un deficit di istruzione possa rappresentare, e nella maggior parte dei casi di fatto rappresenta, un fattore di rallentamento forzato rispetto alle reali potenzialità di sviluppo del tessuto economico-sociale di una Nazione. Rispetto a questi delicati scenari autunnali un presagio è offerto dalle polemiche dei giorni scorsi in occasione dell’adozione delle linee guida per la riapertura del Ministero dell’Istruzione, centro burocratico dell’amministrazione scolastica, alle singole scuole. Il fatto che queste indicazioni di massima, in quanto tali, indicassero una pluralità di modalità di azione possibili ha fatto parlare di uno “scarico di responsabilità” nei confronti dei singoli istituti chiamati all’integrazione di linee guida ritenute, appunto, troppo generiche.

In realtà, questo punto di vista è tutto imperniato su una logica parziale, che non tiene conto che anche il tema della responsabilità, se inteso in maniera non puramente astratta, deve essere inquadrato all’interno del problema più generale dell’autonomia, e in questo caso dell’autonomia scolastica. Non può infatti esserci responsabilità senza autonomia.

Dopo l’introduzione dell’articolo 21 della legge 59/1997, con una scelta politica di massima poi confermata nel corso del tempo – e peraltro frutto anche delle rivendicazioni degli stessi operatori del settore scolastico – le scuole divengono destinatarie di un principio di autonomia. Un’autonomia diversa e meno significativa rispetto a quella precedentemente acquisita dalle Università, ma pur sempre idonea a fare di ogni singola scuola un’amministrazione ex se, con personalità giuridica riconosciuta e con un proprio dirigente.

L’autonomia, evidentemente, è un’autonomia anche e soprattutto rispetto a quel centro burocratico costituito dai Ministeri. D’altra parte, la disciplina dell’autonomia scolastica ha trovato, fin dalle primissime fasi della fine degli anni ’90, una limitata attuazione. In quest’ottica, si può dire che le lasche linee guida elaborate dal governo, a partire dalla decisione di dare alle scuole un potere di adattamento alle situazioni concrete, siano perfettamente coerenti con il favore che la disciplina sostanziale riconosce all’autonomia scolastica

È evidente, però, che, se questa opzione troverà un concreto riscontro, non si potrà prescindere dal prendere due tipi di iniziative: da un lato dare piena attuazione a tutti i corollari dell’autonomia; dall’altro, riconoscere i giusti meriti, con relativi incrementi retributivi, non solo ai dirigenti scolastici -ad oggi considerati alla stregua di “dirigenti di serie b”-, ma anche al corpo insegnanti, distintosi a cagione di uno sforzo particolare profuso fin dalle fasi più critiche dell’emergenza.

Secondo alcuni, l’autonomia scolastica, pur nella configurazione “dimezzata” assunta fino ad oggi, avrebbe prodotto nel corso del tempo un aggravamento delle differenze in termini di qualità nell’erogazione del servizio scolastico all’interno del territorio nazionale, non compatibile con la necessaria garanzia di un servizio universale, da garantire a tutti e ad un prezzo accessibile. Questo dato, se confermato, potrebbe ben suggerire di mettere in discussione l’attuale assetto dell’autonomia scolastica.

Anche l’adozione di iniziative volte a correggere eventuali distorsioni del sistema, però, non ha niente a che vedere con le pseudo-polemiche di questi giorni. Intanto perché presupporrebbe anche questa uno sguardo ampio sull’intera questione dell’autonomia ed un approfondimento che preveda, a monte, una fase rilevazione quanto più precisa possibile degli squilibri e, a valle, una la realizzazione di un dibattito pubblico ampio, consapevole, aperto, informato. E poi perché il vero passo in avanti, in questo senso, più che un ritorno all’antica logica centralistica, sarebbe costituito dall’elaborazione, da parte del legislatore statale ex art. 117 comma 2 lett. l, dei livelli essenziali delle prestazioni costituenti lo standard del servizio che, a partire da un nucleo incomprimibile di diritti fondamentali, la politica decide che debba essere offerto a tutta la popolazione sull’intero territorio nazionale.

È forse questa la sfida più grande che l’amministrazione scolastica si troverà ad affrontare nel prossimo caldo, caldo autunno.