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L'accusatore dei Carabinieri di Piacenza: "Mi ammazzano"

carabinieri piacenza

Grazie alla sua confessione è stato possibile l'arresto dei carabinieri di Piacenza. Ma adesso l'accusatore ha paura di essere ammazzato.

Un’escalation di orrori all’interno della caserma dei Carabinieri di Piacenza. Una vera e propria associazione a delinquere interrotta grazie al coraggio di un ragazzo marocchino che, all’ennesima angheria, si è fatto coraggio e ha parlato con altri militari della stessa caserma. Rompe il silenzio Hamza Lyamani, 26 anni, nato in Marocco ma in Italia da sempre. Lo fa con una lunga intervista al Corriere della Sera in cui racconta dettagli inquietanti sul come veniva gestita la Levante. I Carabinieri di Piacenza gli hanno rotto due volte il naso: “Perché avevo deciso di smetterla con i loro affari – racconta il ragazzo -, Montella lo conoscevo da quando ero piccolo ma ci siamo rincontrati quattro anni fa quando mi hanno fermato per spaccio. Da lì, la mia vita è cambiata”.

Ai magistrati ha parlato anche di festini avvenuti in caserma: “Un giorno mi chiama Montella e dice. vieni qui, sto sco…. E mi fa vedere una ragazza tossica che stava avendo rapporti con lui in cambio di droga”.

Il racconto sui Carabinieri di Piacenza

Il rapporto tra i due riprende, ad anni di distanza, dopo che Lyamani è costretto ad andare alla Levante per “firmare”. “Lui mi dice che se gli do qualche nome di chi spaccia – racconta ancora il 26enne – mi fa firmare quando voglio. Non ho iniziato a collaborare subito. Lui doveva aiutarmi, invece mi ha fatto precipitare ancora di più nel vortice della droga”. Grazie alle segnalazioni di Hamza vengono effettuati più di 30 arresti. “Me ne vergogno – racconta ancora il giovane accusatore – perché poi venivano pestati a sangue. Tutti sentivano dentro la Levante. Ricordo ancora le urla disumane di un poveretto che era nella ‘stanza della terapia’. Quella volta in Caserma c’era anche il comandante”.

Le torture

Poi l’inizio dell’incubo. Hamza Lyamani si vuole tirare fuori: “Avevo una brava ragazza, per questo volevo smettere. Montella ha iniziato a pedinarmi all’associazione dove facevo l’affido, al Sert. Mi impediva di entrare. Hanno iniziato a picchiarmi. Mi chiudevano nello stanzino, due mi colpivano e due fingevano di volermi aiutare”. Aggressione disumana: Calci, pugni. Mi ha rotto il naso due volte. Ricordo che un giorno ho preso un pezzo dell’accendino e mi sono tagliato le braccia sperando che mi facessero andare in ospedale”. E ancora: “Non ho potuto affidarmi al mio legale: è un caro amico di Montella”.

La denuncia

La fine della tortura arriva quando Hamza decide di confidarsi con il maggiore Papaleo: “Gli ho raccontato e mi ha detto: ‘scappa o ti ammazzano, ti buttano nel Po”. Era già a Cremona, ma mi fidavo solo di lui. Aveva arrestato i poliziotti anni prima”. Montella e i suoi amici, i carabinieri arrestati a Piacenza, lo hanno fatto solo per potere: “E i soldi – racconta ancora il 26enne – non li ho mai visti drogarsi. Facevano festini. Andavano a prostitute. Con Montella andavo in un centro massaggi cinese”.