> > Se a Pantelleria è vietato nascere

Se a Pantelleria è vietato nascere

Il paradosso del punto nascita di Pantelleria

Da otto anni un decreto perseguita Pantelleria: venire alla luce nel punto nascita della propria isola è un lusso, un capriccio o un diritto?

Pantelleria è molto diversa da Lampedusa: è tutta scogli, e di difficile approdo. I migranti arrivano, ma meno, e solo dalla rotta tunisina. Non c’è una spiaggia, e dunque neanche lo spettacolo delle uova deposte dalle tartarughe, la schiusa e la corsa disordinata e felice dei neonati verso l’acqua. Il guaio è che sull’isola rischiano di non nascere neppure gli umani. È per questo – anche per questo- che un gruppo di donne picchetta da giorni, sotto soli e piogge di fine estate l’ospedale davanti al porto. Non ce l’hanno con l’ospedale, e tanto meno con la dozzina di medici – metà dei quali stanziali, gli altri in trasferta – né con gli infermieri, che fanno del loro meglio. Ce l’hanno con un decreto che da otto anni perseguita l’isola, 7500 abitanti, più vicina alla Tunisia (70 chilometri di mare) che alla Sicilia (110 chilometri, 6/7 ore di traghetto). Il decreto prevede che là dove in un ospedale nascano meno di 500 bambini l’anno, il punto nascita debba essere chiuso. Poiché lo stesso decreto stabilisce anche che il punto nascita alternativo debba essere entro i 100 chilometri, cosa qui impossibile. Così per anni e fino allo scorso gennaio si è andati avanti per deroghe: l’ultimo parto isolano è del 25 gennaio 2020. Poi viaggi per nave o per aereo delle partorienti, di mariti, di nonne: 9 parti lontano da casa, e in tempi di Covid, uno spettro che finora ha risparmiato l’isola.

Il punto nascita può già contare su un ginecologo, quattro ostetriche, un pediatra, un’infermiera, tre isole neonatali con ventilatore, due culle a caldo, un’incubatrice da trasporto, un respiratore neonatale, due ecografi. Cosa manca? Quello che manca deve rispondere a una domanda: con 34 e passa miliardi che dal Recovery Fund verranno indirizzati agli ospedali (per non parlare del Mes, più a portata di mano e più specifico) non vale la pena fare uno strappo alle logiche aziendalistiche e consentire che i panteschi nascano sull’isola anche se non saranno mai 500 parti in un anno? È un lusso, un capriccio o un diritto? E ovviamente è una domanda che non chiede risposte solo tecniche, o anagrafiche o antropologiche, al tempo della pandemia. Come le gestanti sono costretti a viaggiare anche i malati oncologici, con il loro bagaglio di disagi e di rischi. La lista di richieste, qui, è più lunga: la presenza di un oncologo e di uno psichiatra, la possibilità di effettuare sull’isola la colonscopia, la gastroscopia, la mammografia, l’esame del colon retto, dell’utero, l’angioscopia, la morfologica, l’ecografia delle anche, l’ultra screening, la tac. L’attivazione di un’ambulanza medicalizzata e la creazione di qualche posto letto per malati terminali.

Abbiamo tutti vissuto lo strazio delle morti solitarie nelle terapie intensive, la scorsa primavera. Dovrebbe bastarci a capire che morire, quando tocca, nella propria isola è un piccolo diritto, come quello di nascervi.