> > È morto Marco Diana, il simbolo della guerra all’uranio impoverito

È morto Marco Diana, il simbolo della guerra all’uranio impoverito

Marco Diana

Marco Diana è stato per anni il simbolo della lotta di numerosi ufficiali e militari contro le armi radioattive che hanno causato decine di morti.

Marco Diana era un simbolo: per anni aveva lottato contro la burocrazia e i silenzi del mondo militare lottando contro le tutele che numerosi ufficiali e semplici soldati impiegati nelle cosiddette zone d’intervento neutrale avrebbero dovuto avere a causa delle armi radioattive.

Marco Diana, una lunga battaglia

Il caso delle armi all’uranio impoverito era divampato all’epoca della guerra civile nella ex Jugoslavia. È lì che sono state riscontrate le prime vittime da radiazioni nel corpo militare internazionale, non solo italiano. Marco Diana, ex maresciallo dell’esercito italiano, era stato impegnato per oltre 10 anni in missioni di grande criticità. Ex Jugoslavia, Somalia, Kosovo. Dopo l’ultima missione i primi malesseri, il ricovero e la diagnosi: un tumore al sistema linfatico causato da una contaminazione radioattiva dovuta alle armi utilizzate dal corpo internazionale. Particolarmente potenti quelle americane, arricchite con l’uranio.

La malattia e la denuncia

Diana fu uno dei primi a denunciare la questione chiedendo allo Stato e all’Esercito cure e una pensione di invalidità. Per diversi mesi, la sua posizione fu raccolta ed esposta da numerosi media nazionali e internazionali. Ma, a poco a poco, l’interesse sfumò e anche quella di Marco Diana, come tanti altri, rimase una voce senza alcuna evidenza.

L’ex maresciallo si è spento nella serata di mercoledì 7 ottobre al Policlinico Universitario di Monserrato, a Cagliari, dopo una lunghissima lotta con la malattia. Stava male da tempo. Aveva 50 anni. Negli ultimi giorni la sua situazione si era notevolmente aggravata e i medici avevano optato per un ennesimo ricovero dal quale però non è più riuscito a tornare a casa.

Un caso che fece notizia

Marco Diana era originario di Villamassargia, nella provincia meridionale della Sardegna e aveva deciso di diventare militare di carriera, nell’Esercito, quando era giovanissimo. La sua denuncia destò molto scalpore ma Diana fu costretto a fare i conti con i silenzi e le reticenze di un sistema militare che cercava di difendere i propri segreti e contro la burocrazia di uno Stato che non voleva in alcun modo riconoscergli quella pensione di invalidità cui avrebbe avuto diritto.

Il caso di Diana, purtroppo, non è un caso isolato. Sono decine i soldati italiani e si calcola siano almeno 20mila in tutto il mondo, che hanno contratto gravi malattie o tumori per essere stati sottoposti alle radiazioni dei proiettili all’uranio impoverito, utilizzati per almeno una quindicina di anni in diversi conflitti dove soldati italiani erano impegnati nelle cosiddette forze di pace.

La guerra legale di Marco Diana

Diana, pur continuando la sua vertenza legale contro Stato ed Esercito, aveva continuato a fare ascoltare la sua voce che, tuttavia, era stata quasi ignorata. Alcuni anni fa l’ex maresciallo aveva annunciato dalla sua pagina Facebook di dover vendere la casa per pagarsi le cure. La cosa gli era costata una denuncia per truffa seguita da una lunga indagine della Procura che lo accusava di avere esagerato consapevolmente la gravità del suo stato di salute per impietosire chi leggeva il suo profilo e trarne profitto.

Lo stesso Diana aveva denunciato e querelato per diffamazione chi aveva diffuso la notizia, vincendo la causa. Ma il suo profilo non risultava più aggiornato da quattro anni. Dopo l’indagine Diana, infatti, cancellò quella richiesta d’aiuto a le sue condizioni sono peggiorate giorno dopo giorno. Uno dei suoi amici, una delle ultime persone che lo aveva visitato in ospedale lo definisce una delle tante vittime dell’irriconoscenza di questo paese”.