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Enciclica Fratelli Tutti: un manifesto politico che nessun partito avrebbe il coraggio di fare

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La prima domanda che viene da porsi leggendo l'enciclica Fratelli è questa: ma è davvero possibile una fraternità tra estranei?

La prima domanda che viene da porsi leggendo Fratelli tutti, la terza enciclica di papa Francesco e la prima, nella storia della Chiesa, firmata da un Pontefice lontano da Roma, è questa: ma è davvero possibile una fraternità tra estranei? Tra soggetti che nella vita di ogni giorno sono in competizione tra loro?

Un filosofo attento alla dimensione religiosa come Emmanuel Lévinas riconosceva, realisticamente, che a livello delle pulsioni e degli appetiti “l’altro è l’indesiderabile per eccellenza”, cioè colui il quale esiste per ostacolare e limitare la mia vita e la mia ricerca del godimento. La Bibbia, autentica scuola di realismo, non ha reticenze o moralismi nel descrivere storie di lotte fratricide, omicidi, stupri e incesti. E menomale, con tutta la menzogna che circola oggi sull’essere umano.

Nell’enciclica il Papa si sofferma sulla parabola del Buon Samaritano pervasa, anche questa, da un forte realismo: il sacerdote che si reca al tempio vede l’uomo mezzo morto e passa oltre. Quell’uomo era in assoluta buona fede, perché le prescrizioni rituali vietavano tassativamente di sporcarsi del sangue (di uno straniero, per giunta prima di compiere i riti al tempio. Con questa parabola, in realtà, Gesù non fa moralismo ma cambia radicalmente il concetto di “purezza”. Puro, d’ora in poi, non sarà più chi ha compiuto le abluzioni prescritte per pregare correttamente al tempio ma chi si macchia del sangue del fratello ferito, chi si coinvolge nella sua fragilità, chi è capace di compassione e si ferma a soccorrerlo.

Papa Francesco con quest’enciclica non offre lezioni di moralismo sulla fraternità, annegandola, come ha scritto qualcuno, in una melassa sentimentalista o dal sapore vagamente socialisteggiante. Quando nella Bibbia gli uomini chiedono quale potrebbe essere la dimora di Dio, Dio risponde così: “In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e con gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi” (Isaia 57,15). Il messaggio biblico, che Fratelli tutti rilancia in maniera rigorosa, è inequivocabile: non c’è e non ci può essere nessun rapporto “verticale” con l’Assoluto, con Dio, che non passi per quello orizzontale con gli altri esseri umani, soprattutto con i più poveri, i più fragili, con coloro che necessitano del nostro aiuto.

Se la fede viene separata dal principio della nostra personale responsabilità verso gli altri uomini tende a scadere nell’idolatria, nel ritualismo vuoto e fine a se stesso. È Dio stesso ad affermarlo nel libro di Amos: «Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto, come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne».

Giustizia e diritto. Ecco la provocazione biblica che Francesco rilancia in Fratelli tutti interpellando la politica, le istituzioni e, scrive, tutti gli «uomini di buona volontà». E qui siamo alla dimensione “sociale”, per così dire, del testo che prende le mosse da quella teologica. Francesco nell’enciclica delinea una fratellanza come processo dinamico, libero, che occupa tempo e lo salva, qualcosa capace di mediare tra situazioni confliggenti dando luogo all’amicizia sociale. Non è forse questo, mediare per risolvere i problemi, il compito della politica?

Un esempio di questo approccio sono i riferimenti al lavoro. Il Papa tocca l’argomento in diversi paragrafi. Nel numero 22 denuncia l’ossessione dei sistemi economici attuali di perseguire a tutti i costi la riduzione del costo del lavoro avendo come unico obiettivo e parametro il profitto, che è essenziale ma non può essere tutto. Ne deriva una stortura sociale con un lavoro che, anche quando c’è, è precario e mal retribuito con il dramma di madri e padri di famiglia che, pur lavorando, non portano a casa un salario in grado di assicurare ai loro figli un’esistenza dignitosa.

Il tema della mancanza del lavoro ritorna nel paragrafo 110 quando il Papa avverte che una sola persona scartata non rende fraterno il sistema economico-sociale. Da qui, l’invito a lottare contro le cause strutturali di questo scarto sociale, una delle quali è proprio la mancanza di lavoro. Nel paragrafo 162 il Papa dice a chiare lettere che non c’è sussidio che tenga, quando ricorda che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro».

E nella parte finale, nel delineare il significato sociale dell’amore, ricorda che è «un atto di carità altrettanto indispensabile l’impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria. È carità», nota il Papa, «stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica».

Nell’era dei populismi e degli slogan nobilitati come “pensiero politico”, il Papa non solo invita a un bagno di realismo ma traccia una strada per chiunque voglia impegnarsi in politica. Ma c’è qualcuno che avrà il coraggio di liberarsi dalla dittatura dei “like” sui social e percorrerla davvero?