> > Scongiurare un nuovo lockdown servirà anche a evitare i danni psicologici

Scongiurare un nuovo lockdown servirà anche a evitare i danni psicologici

depressione e rischio nuovo lockdown

Le nostre vite sono state stravolte dal lockdown, ma è la paura di mostrarci deboli e fragili davanti agli altri che ci ha reso due volte monadi.

Ce ne stiamo a casa, controllando compulsivamente le notizie, terrorizzati che ci possa succedere qualcosa o, peggio, che qualcosa possa accadere ai nostri cari. Misuriamo continuamente la febbre, se sentiamo gli odori e se i cibi che mangiamo seguitano ad avere il gusto di sempre. Ci angosciamo per i nostri risparmi, per le spese che si moltiplicano mentre i guadagni si riducono, ci domandiamo: fra quanto saremo poveri? Soffriamo, anche se, almeno in apparenza, non abbiamo niente. Eppure qualcosa – qualcosa che non si può definire a parole, e che non riguarda arti spezzati, ma menti in pericolo – ci attanaglia. Chissà se in futuro conieranno un termine per indicare il momento di angoscia che stiamo attraversando adesso, e che per ora viene definito secondo quello che conosciamo come disturbo post-traumatico da stress, ma anche ansia, panico e più spesso depressione.

Espressioni mediche per inquadrare ciò che sovente viene tenuto ai margini delle conversazioni, e riguarda la nostra salute mentale. Quella salute mentale sofferente che adesso esplode nel dolore a causa della pandemia. Da mesi milioni di persone si sono infatti ritrovate segregate in casa, obbligate – fuori dalla frenesia della quotidianità – a fare i conti con i loro pensieri, con loro stessi. A fare i conti sempre più di frequente con la depressione che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è la principale causa di disabilità globale. Tra il 2005 e il 2015, la sua diffusione è aumentata nel mondo di oltre il 18% e solo nel nostro Paese, secondo i più recenti dati ISTAT del 2015, 2,8 milioni di persone soffrono di depressione cronica. Insieme all’ansia, tocca il 7% della popolazione italiana, quasi 4 milioni di nostri connazionali. Quelle maggiormente sofferenti sono le persone che vivono l’età adulta, se gli adolescenti sono sei su mille, gli adulti nella fascia fra 35 e 64 anni ben cinque su cento. La cifra cresce esponenzialmente fra gli anziani, dodici su cento, che sono fra i più colpiti in Europa. Sono perlopiù le donne – in una numero molto simile al doppio rispetto agli uomini – ad esserne affette. Sono perlopiù le persone svantaggiate economicamente – secondo i dati – quelle che vanno a chiedere aiuto.

Questi numeri, però, fanno riferimento a cinque anni fa. La situazione che stiamo vivendo adesso – con negli occhi ancora il lockdown attraversato in primavera, che si fa sempre più simile al presente – ci obbliga a credere che non possano reputarsi realistiche neppure le stime più aggiornate.

Secondo quanto diffuso da una ricerca di Angelini Pharma e condotta dall’Istituto Elma Research nel nostro Paese ma anche in Germania, Francia, Uk, Spagna e Polonia su 1000 persone la difficoltà a dormire, la mancanza di energia, ma anche tristezza, paura, mancanza di interesse nel fare le cose, panico e ansia sono molto diffusi. Tanto che il 65% degli italiani interpellati ha ammesso di aver attraversato almeno due di questi sentimenti.

A questo proposito è interessante un recente studio condotto dai ricercatori del San Raffaele secondo cui su 402 malati di coronavirus – tale il campione preso in analisi – siano state riscontrate patologie da non sottovalutare come disturbo post-traumatico da stress, insonnia, ansia e depressione anche dopo la guarigione. Quelle maggiormente toccate sono state ancora una volta le donne, e i pazienti che in passato avevano sofferto di disagi psicologici e che già si sentivano vulnerabili per i trascorsi attraversati.

Non sono confortanti neppure le fotografie che arrivano dal mondo. Un recente studio cinese ha indagato l’incidenza di ansia e depressione in chi aveva subito la quarantena, in chi era stato a rischio di subirla e in chi, invece, l’aveva evitata poiché residente in zone senza rischio di contagio. Studiando chi aveva sopportato il lockdown, e chi invece lo aveva soltanto percepito attraverso i racconti dei media, si è evinto qualcosa di sorprendente: la prevalenza di depressione e ansia era due volte maggiore in soggetti che abitavano in zone non a rischio rispetto a chi invece proseguiva la sua vita in aree pericolose, a dimostrazione di come la paura di un potenziale contagio si rivelasse un fattore di stress superiore al rischio di essere contagiati.

Se vi state adesso chiedendo perché una persona è depressa, come per tutte le domande complesse non esiste un’unica risposta. Cresciuta in una famiglia di psichiatri, da bambina sentivo parlare a tavola con maggiore frequenza di disturbo bipolare e di panico che di come si prepari un ragù domenicale o una torta alla ricotta. Mio padre mi ripeteva sempre, cosa che fa spesso ancora oggi, che le persone quando si fanno male a un ginocchio corrono dall’ortopedico, se hanno male a un dente vanno dal dentista senza battere ciglio, mentre quando il disagio è psicologico non corrono ai ripari. E più il tempo passa, più le situazioni si aggravano e – nel caso dei pazienti depressi – si perde fiducia in se stessi e negli altri, ci si lascia trascinare dalla corrente di un fiume oscuro, a cui opporsi pare impossibile.

Le nostre vite in questi mesi sono state stravolte, le nostre abitudini contagiate dalla paura di non avere abbastanza soldi per andare avanti e di ammalarci. Ma è la paura di mostrarci deboli e fragili davanti agli altri che ci ha reso due volte monadi. Ci ha trasformati, la paura, in bachi da seta chiusi dentro bozzi di silenzio e di rabbia. In esseri tristi, angosciati, che spesso non dormono la notte e iniziano a conoscere che cosa siano gli attacchi di panico: quando il pensiero si interrompe, e il cervello si spegne. Diventa allora fondamentale cercare aiuto.

Analizzando i dati – e gli studi scientifici che rapidamente si stanno succedendo in queste settimane – pare ormai chiaro come l’emergenza psichiatrica sia reale anche nel nostro Paese. E forse, purtroppo, non sia ancora presa in considerazione a sufficienza.