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Diario di un ricoverato: "Nel panico quando ho messo il casco"

Terapie intensive, lombardia verso la zona gialla

La storia del 59enne Fabio Valzecchi, ricoverato in terapia intensiva: "Ho avuto un attacco di panico quando mi hanno messo il casco"

Attimi di panico, paura e la voglia di uscirne presto. Sono le sensazioni che vive chi finisce ricoverato in terapia intensiva a causa del Covid. La testimonianza dell’ingegnere aerospaziale Fabio Valzecchi è forte, e da monito per chi non rispetta le misure di precauzione.

La storia di Fabio Valzecchi

Ho avuto un attacco di panico, non appena mi hanno messo il casco per respirare”. Inizia così il racconto di Fabio Valzecchi, 59enne, al Messaggero. “Il medico, Francesco un dottore giovanissimo, mi ha preso la mano per calmarmi. Con tanta pazienza mi ha spiegato che se non tenevo il casco mi avrebbe dovuto intubare e a quel punto, non sapeva come e quando ne sarei uscito”. Valzecchi è risultato positivo al coronavirus il 21 ottobre, ha iniziato ad accusare sintomi come febbre e difficoltà respiratorie. Per Fabio è iniziata una lotta contro il virus che l’ha portato in terapia intensiva all’ospedale Spallanzani. Ancora oggi il 59enne non riesce a parlare, e ha raccontato la sua storia tramite whatsapp, dal letto della terapia intensiva. “Sono arrivato già in condizioni serie. I medici quindi mi hanno subito messo il casco per aiutarmi a respirare. Non credevo che avrei accusato una reazione tanto violenta. Dopo 4 ore di terapia ho iniziato ad avere problemi. Non solo non riuscivo a respirare, ma ho avuto anche un forte attacco di panico. Sentivo il cuore molto accelerato e a quel punto il medico e gli infermieri sono, letteralmente, corsi al mio letto. Continuavo a chiedere di toglierlo. Piangevo anche, non mi vergogno di ammetterlo“.

L’impatto traumatico con il casco

L’impatto con il casco per la respirazione è stato traumatico per Fabio Valzecchi, ma la sua fortuna è stata quella di trovare medici preparati e di buon cuore. “Il dottore si è seduto accanto a me, mi ha preso la mano e mi ha parlato come se fossi suo padre -racconta il 59enne-. Francesco è un medico giovanissimo e posso dire che a salvarmi più che le cure, è stato il suo affetto e la sua pazienza. Mi ha spiegato con molta calma che se avessi tolto il casco, per me non ci sarebbero state molto speranze perché avrebbe dovuto intubarmi. E la procedura, in quel caso, è molto più invasiva”. L’ingegnere racconta della sua esperienza con il casco, che ha dovuto indossare giorno e notte. “Non si può togliere fino a quando il livello di saturazione non sale. Questo significa indossarlo sempre notte e giorno. Il rumore, all’interno, è molto violento. Il medico prima, e le infermiere poi, non mi hanno lasciato un istante fino a quando non mi sono calmato. Non potevo comunicare con la mia famiglia, ero isolato e spaventato. Credo che tutti questi fattori abbiano scatenato una reazione così violenta. Ma la vera cura, per me, è stato il personale ospedaliero”.

Il racconto del ricoverato

Fabio Valzecchi ha poi commentato la situazione nella terapia intensiva con gli occhi di chi l’ha vissuta sulla propria pelle. “Siamo in tanti, tutti con problemi respiratori. Abbiamo il casco o il respiratore e ogni medico, ogni infermiere, ci dedica cure e attenzioni. Questo virus è pericoloso. Ho prestato tutte le precauzioni eppure mi sono contagiato. Ora, sto lentamente migliorando e il merito, lo ripeto, è solo di questi medici che si spendono notte e giorno per aiutarci. È un’esperienza terribile ma allo stesso tempo ho avuto un’occasione, irripetibile, di conoscere l’umanità e il calore di medici giovani e competenti”.