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Criteri per fasce di rischio, Miozzo: "Non credo serva più semplicità"

Miozzo 21 indicatori

Miozzo esprime il suo giudizio sui 21 indicatori per le fasce di rischio. Per lui "il problema è la capacità delle Regioni di riscontrare i dati".

Il coordinatore del Cts, Agostino Miozzo, non ritiene che i 21 indicatori per le fasce di rischio debbano essere semplificati. I dati, ha spiegato, sono stati concordati con le Regioni, ma il vero problema è la capacità di riscontrarli.

Miozzo sui 21 indicatori per fasce di rischio

Dopo aver escluso l’ipotesi di lockdown totale in Italia, messo in guardia sul “liberi tutti” in vista del Natale e allarmato sulla necessità di garantire il ritorno in aula degli studenti, il coordinatore del Cts interviene a DiMartedì per parlare dei 21 indicatori per le fasce di rischio.

A tal proposito, Miozzo ha dichiarato: Non credo che serva più semplicità. Questi dati sono stati innanzitutto concordati con le Regioni, concordati e definiti in un periodo in cui la curva era in una fase discendente”. Per lui: “Il vero problema è la capacità da parte delle Regioni di riscontrarli”. Ospitato da Giovanni Floris nel suo programma in onda su La7, ha aggiunto:Questi dati danno una fotografia perfetta se vengono riscontrati. Ci sono difficoltà nella raccolta, ci sono difficoltà nella trasmissione”.

La richiesta delle Regioni

Intanto, in seguito alla conferenza delle Regioni tenutasi martedì 17 novembre, i governatori hanno proposto all’esecutivo l’uso di cinque indicatori (anziché i 21 attuali, ritenuti “inadeguati” e quindi “da rivedere”) per definire le fasce di rischio nelle Regioni italiane. Tra i cinque criteri voluti dai governatori, rientra la percentuale di tamponi positivi, escludendo tutte le attività di screening e re-testing degli stessi soggetti. Si prenderebbero in considerazione un Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata Iss e il tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva per pazienti Covid e quello dei posti letto totali per pazienti risultati positivi al virus. Ma anche la possibilità di garantire adeguate risorse per contact-tracing, isolamento e quarantena e il numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact-tracing.

Le Regioni hanno così chiesto un incontro urgente con il ministro della Salute Roberto Speranza e con quello degli Affari Regionali, Francesco Boccia. Secondo Giovanni Toti: “C’è la necessità di rivedere in un’ottica di semplificazione i parametri che sono stati elaborati nella prima fase della pandemia”. In questo modo, si procederebbe poi “a un aggiornamento delle indicazioni sull’utilizzo dei test rapidi antigenici e del test di biologia molecolare”. E verrebbero inseriti “nei conteggi anche i tamponi rapidi, in modo di riallineare la correttezza del dato statistico”.

Il “no” di Speranza

Il ministro della Salute Speranza non condivide né approva l’ipotesi proposta dalle Regioni. Per lui i criteri non possono essere modificati e neppure ridotti.

Infatti, ha commentato: “Avere più indicatori significa avere una fotografia più completa e larga. Questi 21 indicatori li usiamo da maggio e ci hanno aiutato a leggere l’epidemia”. Poi ha tenuto a sottolineare che: “Il dialogo con le regioni è sempre aperto, ma 21 criteri significa avere fotografia più affidabile”. Quindi ha ribadito: “Oggi questo è il modello che abbiamo e dobbiamo rispettarlo. Abbiamo un modello che in questa seconda ondata prova a non farci chiudere tutto dappertutto che sarebbe stata una scelta più facile ma avrebbe avuto prezzo più alto”.