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Genovese, parla la psicologa: "Ecco perché la vittima non se l'è cercata"

Alberto Genovese

La psicologa forense che segue la vittima di Alberto Genovese ha spiegato la situazione della sua paziente.

Sara Pezzuolo, psicologa Firenze che sta assistendo in sede processuale la ragazza di 18 anni vittima di violenza sessuale, che ha denunciato Alberto Genovese, è stata intervistata da Fanpage.it e ha parlato della situazione della sua paziente. La psicologa è stata molto delicata, viste le condizioni psicologiche attuali della vittima, e ha fatto qualche appunto per chiarire diversi punti della situazione.

Caso Genovese, parla la psicologa

Ci si appiglia a sminuire la gravità del reato cercando una sorta di concorso di colpa da parte della vittima, sento illazioni e giudizi del tipo ‘beh, se vai a feste del genere un po’ te lo devi aspettare’” ha spiegato Sara Pezzuolo. La ragazza in questo momento si trova a dover affrontare un trauma molto forte, soprattutto ora che stanno tornando i ricordi. La psicologa paragona la giovane ad una terremotata, raccontando quando è stata a L’Aquila dopo il terremoto. “Scesi a L’Aquila il terzo giorno dopo il terremoto, quando le persone, passata la fase iniziale del ‘siamo vivi’, iniziavano a fare la conta, ‘quello è morto… quello non c’è più… la mia casa è distrutta’, cercando di capire cosa era rimasto della propria casa e della propria vita” ha spiegato la psicologa, che ha sottolineato che il nostro corpo è proprio come una casa e per lei è come se continuassero a tornarci i ladri.

La psicologa ha spiegato che la ragazza ha ancora pochi ricordi e continua a chiedersi cosa è successo, ma nello stesso tempo viene bombardata di informazioni da tutti. Riguardo i messaggi inviati dalla vittima a Daniele Leali, che sono stati resi pubblici, la dottoressa ha spiegato che nessuno ha dato l’autorizzazione a diffonderli. Non sa perché ha avuto un contatto con questa persona, anche perché gli audio sono stati estrapolati dal contesto. La psicologa ha spiegato che non sa in quel momento la ragazza in che condizione emotiva fosse. L’esperta ha commentato anche il lavoro dei giornalisti, sottolineando che c’è una morbosità nei confronti dei dettagli più cruenti e a volte ci si dimentica che si tratta di una violenza. Per la vittima è come essere violentata una seconda volta.

Il diritto all’informazione è sacrosanto, la morbosità rende l’informazione dis-informazione, e il confine lo dà il giornalista. Io sono il consulente tecnico di parte incaricato a seguire il caso ma non ho le informazioni che avete voi” ha spiegato la donna. La psicologa ha dichiarato di aver letto da qualche parte che anche Belen Rodriguez e Carlo Cracco hanno partecipato alle feste di Genovese, ma ovviamente nessuno si permetterebbe di dire loro “beh, partecipando a queste feste devi mettere in conto che possa capitarti di venire segregato e stuprato per ore” come, invece, è stato detto alla vittima. I genitori della vittima sono persone molto presenti, così come le sorelle. “Potrei dirle molte cose: purché dotati di adeguate capacità genitoriali, la madre e il padre sono figure insostituibili, ciascuno dei due dà un apporto. Pensiamo alla figura paterna. C’è tutta una letteratura scientifica che ha dimostrato come il padre giochi un ruolo protettivo rispetto alle gravidanze premature, all’abbandono scolastico, e all’ideazione suicidaria, si tratta di ricerche che da noi sono iniziate negli anni ’80, ma che in America circolavano già negli anni ‘50 e ’60” ha spiegato la psicologa, riferendosi ai genitori e al trauma. La vittima “vuole avere una voce” e ha chiesto “che si sentisse anche la sua voce“. “Io credo che gli esseri umani siano recuperabili, lo prevede anche il nostro ordinamento che nel recupero del reo “investe”. Ma la riabilitazione del reo non può partire se il reo non capisce di avere commesso un reato” ha spiegato, parlando dell’eventualità che il carnefice possa capire e pentirsi davvero.