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Costa Concordia, quello che non dimenticherò mai di quella mattina al Giglio

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Poi accadde qualcosa, per caso. O così dissi all’allora procuratore Francesco Verusio quando mi chiese come diavolo avevo fatto ad avere il file audio “Vada a bordo, cazzo!” che poi fece il giro del mondo.

Arrivai che era la mattina presto. Era la mattina del giorno dopo e al porto di Santo Stefano pareva di assistere a una scena del Diluvio universale girata al contrario: oltre 4000 persone – tra passeggeri e personale di bordo – veniva caricato su dei bus per essere rimpatriato.

Neppure 24 ore prima – il 13 gennaio del 2012 – la Costa Concordia aveva urtato il più piccolo degli scogli de Le Scole, a circa 500 metri dal porto dell’Isola del Giglio: l’incidente provocò uno squarcio di 70 metri nello scafo e la morte di 32 persone. Sembrava un capodoglio arenato e invece una delle nave passeggeri di più grosso tonnellaggio si era rovesciata per una manovra scellerata del capitano Francesco Schettino.

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Visti i numeri la Procura di Grosseto – nella mia testa – non stava indagando su un incidente marittimo ma su un piccolo paese che si inabissava. Un paese di ferro e motori che conteneva tutti i paesi del mondo, ché i passeggeri arrivavano da qualsiasi parte del globo terracqueo. Così come da tutto il mondo arrivarono gli inviati di punta di giornali e tv per raccontare le storie dei sopravvissuti e delle vittime di questa tragedia. Io stavo lì col “Corriere Fiorentino” a fare lo stesso. Solo che a me toccò la parte giudiziaria della vicenda, ché quella mi era toccata di “coprire”, come si dice in gergo. Una rogna, in pratica: incollarsi come un francobollo a carabinieri e magistrati non è propriamente la cosa più agevole di questo mondo.

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Poi accadde qualcosa. E quel qualcosa – che cercavo dodici ore al giorno – arrivò per caso. O così dissi all’allora procuratore Francesco Verusio quando mi chiese come diavolo avevo fatto ad avere il file audio della telefonata tra Schettino e il capitano De Falco. Il “Vada a bordo, cazzo!” che poi fece il giro del mondo. Il caso – gli dissi – fu che mi ero trovato sul lato conducente della mia macchina una pennina con le telefonate, ma non so che faccia aveva questo caso. Perché tengo i finestrini aperti per cambiare l’aria alla macchina visto che fumo, dissi. E dissi sempre così anche nei giorni successivi quando pubblicai verbali, foto, informative e filmati.

Sempre un caso. Solo e soltanto un caso. A differenza della condanna di Schettino in Cassazione a 16 anni, oltre all’interdizione per 5 anni da tutte le professioni marittime: senza quelle indagini così rapide ed efficaci della magistratura di Grosseto, oggi probabilmente saremmo di fronte a una sentenza diversa. Come quella della Cassazione sulla strage di Viareggio.