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Non chiamiamo furbetti quelli che "rubano" il vaccino a chi ne ha più diritto

furbetti del vaccino

Me li immagino questi imbucati nei mesi duri della prima ondata a chiamare eroi quei medici e infermieri a cui oggi hanno tolto il vaccino per impossessarsene.

Le parole sono importanti. Appunto. Per questo nella vicenda degli imbucati dei vaccini dobbiamo dare alle parole il loro valore. Si tratta di circa 350mila persone in tutta Italia che non rientrano nel target cui spetta la priorità, come prevedono le linee guida del Ministero della Salute per questa prima fase. Vi prego, non chiamateli – non chiamiamoli – furbetti, con questo uso tutto italiano del vezzeggiativo o del diminutivo, buoni quando alla sanzione morale si sostituisce un grosso “massì” collettivo. Son furbetti, son furbini.

Qualcosa insomma per cui vadano bene un’alzata di spalle, mezzo sorriso a denti stretti o un assolutorio “c’è di peggio”. Ma che cosa c’è di peggio che togliere il vaccino a medici, infermieri, personale sanitario, operatori socio sanitari che lavorano nella prima linea dei nostri ospedali, e che si mettono quotidianamente a rischio per salvare vite umane, magari sulla linea del fronte delle nostre terapie intensive o dei reparti Covid?

Me li immagino, questi imbucati, a marzo o aprile, nei mesi duri della prima ondata. A condividere sui social l’hashtag #andràtuttobene. Oppure a spellarsi le mani negli applausi dai balconi (pure di questa assurda retorica siamo rimasti vittime, allora). O ancora, che ne so, a chiamare “eroi” medici e infermieri i cui occhi segnati dalla fatica e i cui visi rigati dal segno delle mascherine abbiamo visto tutti. E di cui (quasi) tutti ormai ci siamo dimenticati.

Ho realizzato per “Piazzapulita”, su La7, un’inchiesta nel ragusano. A Scicli il 6 gennaio erano state scongelate 40 dosi in più di vaccino. Così hanno chiamato tutti. Per non sprecarlo, avevano detto. E in centinaia – complice anche il prete del paese che lo aveva annunciato dal pulpito – si sono accalcati pretendendolo fino a quasi arrivare alla zuffa, quando le dosi in più erano finite. “Ma come – li si è sentiti urlare – “sono da due ore in fila e non me lo fate? Non è giusto”, come se la pretesa di qualcosa che non ci spetta diventasse essa stessa diritto. Come se nessuno di quelli in coda si fosse passato una mano sulla coscienza e avesse anche solo pensato di non mettersi in coda, per far sì che quelle dosi in più andassero magari agli anziani ricoverati nelle Rsa, al personale infermieristico che ancora il vaccino non l’aveva visto, agli operatori socio sanitari che ogni giorno varcano le porte dei nostri ospedali. Macché. Sono qui e lo pretendo.

È l’arroganza che fotte questo benedetto Paese. E l’arroganza non contempla il bene comune, ma solo il proprio particolare, la propria roba, per dirla con Verga. Anche quando la roba non è propria, ma di tutti. Perché, mettiamocelo in testa, il vaccino è un bene comune a cui tutti hanno diritto gratuitamente. Ma tant’è.

Quello che mi fa più incazzare però non è l’errore umano di chi ha scongelato troppe dosi di vaccino il 6 gennaio a Scicli. Ché uno dice ok, c’è stato un errore, erano i primi giorni della vaccinazione. No. Perché di imbucati ce ne sono stati a Ragusa, Comiso, Pozzallo, Modica anche nei giorni successivi, fino all’11 o 12 gennaio, quando poi il caso è scoppiato, i Nas hanno iniziato le indagini, la Regione s’è svegliata dal torpore e tutti sono venuti a conoscenza di questa autentica vergogna. Cui si aggiunge una clientela da far spavento.

Perché si sono vaccinati il marito e la figlia trentunenne della responsabile dell’ufficio risorse umane dell’Asp di Ragusa, cinque ex sindaci di Scicli, due di loro di professione preside e ingegnere, non proprio la prima linea dell’emergenza sanitaria. Così come una giornalista, che di giorno fa l’insegnante precaria, da sette anni l’addetta stampa di una parlamentare Cinque Stelle e poi, a tempo perso, aiuta pure il marito, medico, nel proprio studio. Una multitasking di tutto rispetto, non c’è che dire. Né possiamo poi stupirci se nell’elenco dei vaccinati a sgamo ci sia anche un ventiseienne. “Soffro di bronchite e ho catarro d’inverno – mi ha detto – mio padre, che è medico, mi ha messo in lista e io l’ho fatto. Ma non ritengo di averlo sottratto a nessuno”. Certo, come no. La lista ha altri nomi e novità sono attese nei prossimi giorni.

Quello che mi ha colpito è che nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio ho sentito pronunciare una parola sempre più rara: scusa, ho sbagliato. Nemmeno per l’anticamera del cervello è passato per la mente a queste persone che il loro comportamento, pur non rappresentando allo stato attuale un illecito penale, potesse essere considerato, almeno sul piano morale, indecente. Zero.

Mai un’assunzione di responsabilità. Piuttosto il contrario: una meschina difesa della propria posizione, un’adduzione di giustificazioni da far impallidire, come se si fossero dimenticati delle categorie a rischio, dei cinquecento morti al giorno che ancora oggi ci sono. Come se tutto questo non contasse nulla di fronte al proprio tornaconto. Ora l’assessore alla Salute della Regione siciliana ha annunciato che per queste persone non ci sarà la seconda dose di vaccino. Che un po’, mi viene da dire, rappresenta uno spreco ulteriore, visto che queste stesse persone prima o poi verranno vaccinate.

Caro assessore, il segnale è ottimo, ma adesso arrecherebbe un ulteriore danno, sprecando una dose a cranio. Ci ripensi. Altrimenti assisteremmo al trionfo della solita logica: il recinto si chiude quando i buoi sono ormai scappati.