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Un anno di Covid: dal primo caso di Codogno al lockdown in stile Wuhan

un anno di covid, i momenti più difficili

Ripercorriamo le tappe che hanno portato l'Italia nel suo primo lockdown a livello nazionale. Dal primo caso di covid a Codogno, alla chiusura come Wuhan

È passato un anno da quando il Coronavirus ha fatto la sua comparsa nelle nostre vite: il 21 Febbraio 2020 segna la svolta delle nostre abitudini di vita quotidiana, è il giorno in cui il venne ufficialmente annunciato il primo caso di Covid in Italia, quello del paziente zero a Codogno. Riviviamo tappa per tappa tutti i momenti più difficili di questo anno segnato dal SARS-Cov-2.

Un anno di Covid: dal primo caso di Codogno al lockdown in stile Wuhan

Poco dopo la mezzanotte del 21 Febbraio 2020, un annuncio ha cambiato per sempre la nostra vita: il Coronavirus ha fatto il suo ingresso in Italia. Un uomo di 38 anni, Mattia Maestri, ricoverato presso l’ospedale di Codogno, è stato trovato positivo al Covid, grazie ad un ‘intuizione di una dottoressa anestesista, Annalisa Malara, la quale, infrangendo i protocolli ha richiesto un tampone molecolare, per questo giovane uomo che presenta una polmonite bilaterale inspiegabile. Tampone poi risultato positivo, e che etichetterà Mattia, come il cosìdetto paziente uno. Nella stessa giornata però non si scopre solo il primo caso conclamato di Covid, ma si avrà anche il primo morto da Coronavirus: è Andrea Trevisan, di Vò Euganeo.

Codogno e Vò Euganeo, due cittadine che in pochissimo tempo tutti gli italiani hanno imparato a conoscere e che faranno da apripista al primo lockdown su scala locale, il quale, in un secondo momento sarà poi esteso a livello nazionale.

Codogno e Vò Euganeo

I fatti di quel 21 Febbraio dello scorso anno, scorrono veloci e a guardarli adesso, ad un anno di distanza, ci si rende conto di come l’Italia fosse nell’occhio del ciclone in modo inconsapevole, pronta ad essere travolta dalla pandemia da Coronavirus.

Già alle 13 di quel 21 Febbraio, i contagiati nel Lodigiano sono 6, e solo due ore dopo, Codogno entra in zona rossa, con la chiusura da parte del sindaco, di scuole, bar e locali. Sorte comune sarà quella di, distante solo 150km da Codogno, in cui il sindaco, dopo la morte di Trevisan, dispone la chiusura di scuole e attività economiche non essenziali, vietando, con una ordinanza, ai residenti si lasciare la propria abitazione, se non per lavoro. I medici di famiglia vengono messi in quarantena, l’ospedale più vicino, a 30 minuti di macchina, è chiuso. Una cittadina di 3.270 abitanti vive da quel momento in isolamento.

Nell’arco di 24 ore però, non sono solo Codogno e Vò ad entrare in quarantena, ma anche altri 9 comuni, tutti nelle vicinanze: da Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e Sanfiorano non si entra e non si esce per contenere il cluster.

A questo punto, dopo che la zona viene ribattezzata dai media, la Wuhan d’Italia, ecco arrivare la coscienza, in chi deve affrontare l’emergenza, che Lombardia e Veneto, ma in più generale la nazione Italia, non è preparata ad affrontare una pandemia di questa portata. Negli ospedali, ma non solo, mancano le mascherine, il famoso piano pandemico non esiste, o perlomeno è presente quello obsoleto del 2006, tra carenze strutturali croniche ed una serie di errori e sottovalutazioni, l’Italia è destinata a soccombere dinanzi l’avanzata veloce del virus.

Nei fatti ciò si traduce nell’elevato numero di malati positivi, e soprattutto nell’alto numero ufficiale di morti, senza considerare i decessi, non rientranti nelle statistiche, avvenuti tra le mura domestiche, persone affamate d’aria, perchè in quei giorni non si trovavano nemmeno le bombole di ossigeno, oppure coloro che sono morti nella più totale indifferenza in un letto delle RSA e case di riposo.

Il blocco dei voli dalla Cina e le bare di Bergamo

Considerando la situazione emergenziale, l’Italia blocca i voli diretti dalla Cina, nella speranza così di stoppare la corsa del virus: mera utopia, perchè proprio nella regione più popolosa del nostro paese, la Lombardia, il virus ormai non conosce confini, prova ne è l’aerea della Val Seriana, in cui gli unici suoni che riecheggiano, sono le sirene delle ambulanze. Ma nonostante il dramma che si sta consumando, regione e governo nazionale non riescono a mettersi d’accordo sul proclamare la zona rossa, che rimane mera ipotesi, incuranti anche del sollecito da parte del Comitato tecnico scientifico.

La svolta si avrà solo l‘8 Marzo, quando causa innalzamento dell’indice Rt tra il 2 e il 3, tutta la regione Lombardia viene proclamata zona arancione, estesa poi in 48 ore a tutta l’Italia, per poi giungere al lockdown totale nella giornata dell’11 Marzo.

Una giornata però rimarrà impressa nella memoria di tutti gli italiani: il 28 Marzo 2020, giorno in cui i camion dell’Esercito italiano hanno trasportato 70 bare dal comune di Bergamo in altri comuni, per poter procedere alla cremazione dei corpi e dare degna sepoltura a coloro che sono state le vittime di questo maledetto virus.