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Scuola, stare in classe non aumenta la curva della pandemia

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L'Italia è uno dei paesi in cui le scuole sono state chiuse più a lungo, ma non c'è correlazione tra lezioni in presenza e diffusione del virus.

L’Italia è uno dei Paesi europei in cui le scuole sono rimaste chiuse più a lungo, ma non esiste alcuna correlazione significativa tra la diffusione dei contagi e le lezioni in presenza. L’apertura delle scuole è stata ufficialmente scagionata, secondo una ricerca condotta da epidemiologi, medici, biologi e statistici.

Scuola e curva della pandemia

Il rischio zero non esiste ma sulla base dei dati raccolti possiamo affermare che la scuola è uno dei luoghi più sicuri rispetto alle possibilità di contagio” ha dichiarato l’epidemiologa e biostatistica Sara Gandini, dello Ieo di Milano. Gli studi hanno analizzato i dati del Miur, che sono stati incrociati con quelli della Ats e della Protezione civile, fino a coprire un campione pari al 97% delle scuole italiane. “I numeri dicono che l’impennata dell’epidemia osservata tra ottobre e novembre non può essere imputata all’apertura delle scuole” ha dichiarato l’esperta. Il tasso di positività dei ragazzi rispetto al numero di tamponi eseguito è inferiore all’1%. “Di più: la loro chiusura totale o parziale, ad esempio in Lombardia e Campania, non influisce minimamente sui famigerati indici Kd e Rt . Ad esempio a Roma le scuole aprono 10 giorni prima di Napoli ma la curva si innalza 12 giorni dopo Napoli, e così per moltissime altre città” ha aggiunto l’epidemiologa. “I giovani contagiano il 50% in meno rispetto agli adulti, veri responsabili della crescita sproporzionata della curva pandemica. E questo si conferma anche con la variante inglese” ha spiegato l’esperta. I focolai che accadono in classe sono molto rari e la frequenza di trasmissione da ragazzo a docente è irrilevante. Il rischio più grande è che gli insegnanti si possano contagiare tra loro, come accade in qualsiasi ufficio.

In mancanza di evidenze scientifiche dei vantaggi della chiusura delle scuole, il principio di precauzione dovrebbe essere quello di mantenere le scuole aperte per contenere i danni gravi, ancora non misurabili scientificamente in tutta la loro portata e senz’altro irreversibili sulla salute psicofisica dei ragazzi e delle loro famiglie. La scuola dovrebbe essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire” ha spiegato Gandini. “Ci sono rischi anche nel tenere così a lungo chiuse le scuole. In Italia gli adolescenti delle superiori sono andati a scuola mediamente, quest’anno, solo 30 giorni in tutto” ha sottolineato. Analizzando i tassi di contagio della popolazione per fasce d’età a partire dall’autunno, l’incidenza di positivi tra gli studenti è inferiore del 40% per le elementari e medie e del 9% per le superiori rispetto alla popolazione in generale. Meno dell’1% dei tamponi eseguiti sono risultati positivi. La riapertura delle scuole non comporta una crescita della curva pandemica. “I ragazzi non possono quindi in nessun modo essere definiti responsabili o motore della curva” ha concluso l’esperta.