Nella giornata di martedì 23 marzo due casi di variante newyorkese del Covid-19 sono stati individuati nelle Marche, in due tamponi provenienti dalla provincia di Pesaro-Urbino analizzati presso gli Ospedali Riuniti di Ancona. Si tratta di un ceppo mai visto in Italia fino a questo momento, che era stato identificato a New York lo scorso novembre e che da allora si era gradualmente diffuso nel territorio della metropoli statunitense, tanto che a oggi rappresenta il 12% dei contagi totali in tutti gli Stati Uniti.
Covid, primi casi di variante newyorkese in Italia
Sulla scoperta si è espresso anche il direttore del laboratorio di Virologia degli Ospedali Riuniti di Ancona Stefano Menzo, che a tal proposito ha dichiarato: “La variante è caratterizzata dalla mutazione E484K, che insiste sul sito di legame con il recettore, oltre ad altre 5 mutazioni aminoacidiche sulla stessa proteina. […] Al momento non ci sono evidenze scientifiche sull’eventuale capacità di questa variante di evadere la risposta neutralizzante suscitata dagli attuali vaccini“.
Verso la fine del mese di febbraio il New York Times aveva espresso preoccupazione nei confronti della nuova variante, citando in merito due studi dell’università Caltech nel Golden State e della Columbia University nei quali veniva affermato come la mutazione avrebbe potuto indebolire l’efficacia dei vaccini. Secondo le analisi effettuate fino a quel momento inoltre, i pazienti contagiati dalla variante newyorkese sono di circa sei anni più vecchi della media e hanno più probabilità di essere ricoverati in ospedale.