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Andrea Camilleri morto: diventerà letteratura?

andrea camilleri

L'eredità più importante che Andrea Camilleri ha lasciato ai suoi lettori e ai suoi spettatori è indubbiamente il modo di parlare dei suoi personaggi: un dialetto o una lingua?

Andrea Camilleri per tutti è stato, e sarà per sempre, il padre del commissario Montalbano, l’autore indimenticabile di una lunga serie di romanzi che hanno contribuito a rinnovare radicalmente la letteratura italiana contemporanea. Ha infatti inventato una nuova lingua, dando voce a personaggi iconici che sono rimasti nel cuore di tutti i suoi lettori e questo lo farà diventare (se non lo ha già fatto) letteratura italiana.

La lingua di Andrea Camilleri

Andrea Camilleri, oltre ad essere uno degli autori più noti nel panorama letterario mondiale, è stato anche un inventore un po’ folle, uno sperimentatore ardito, colui che è riuscito a scalare le classifiche dei libri più venduti riempiendo le sue pagine di una lingua di fatto completamente estranea a buona parte del suo pubblico. Una lingua affascinante e misteriosa insieme, che ogni volta riusciva a ricreare un’intera ambientazione, calando l’ignaro lettore nella Sicilia profonda, antica e moderna insieme, dello scrittore di Porto Empedocle.

Eppure per lunghi anni i suoi detrattori (a dire il vero, non molto numerosi) hanno definito le opere di Camilleri “letteratura dialettale”, con una frettolosa semplificazione che nascondeva in realtà un giudizio non proprio lusinghiero. In realtà, Camilleri è riuscito a creare una lingua nuova, tutta sua che mischia dialetto siciliano e lingua nazionale in un modo così fluido e naturale che qualcosa di simile si può trovare solo in alcune delle pagine più belle di Pirandello.

La lingua di Camilleri: il saggio con Tullio de Mauro

Andrea Camilleri morto, intervista editore

Affrontando un argomento che per altro lo stesso padre di Montalbano volle affrontare in prima persona, quando scrisse insieme al più grande linguista italiano del nostro tempo, il compianto Tullio De Mauro, un libro intitolato La lingua batte dove il dente duole, pubblicato da Laterza: quella dei romanzi di Camilleri è una lingua oppure un dialetto?

Il dubbio in realtà è difficile da sciogliere, poiché dal punto di vista di un linguista, e se De Mauro fosse qui potrebbe confermarlo, lingue e dialetti sono in realtà la stessa cosa: entrambi possiedono un lessico, una grammatica e una comunità di “parlanti” che fa riferimento a quella determinata varietà.

Ma una differenza c’è, ed è quella a cui si riferiva Weinreich quando definiva la lingua nient’altro che “un dialetto, ma con in più un’armata e una flotta”. La lingua, in altri termini, ha sempre alle sue spalle il riconoscimento ufficiale da parte di un’autorità: e così, comunemente si parla di “lingua italiana” e di “dialetto modenese”, di “lingua tedesca” e di “dialetto bavarese”.

Nel già citato libro scritto con De Mauro, il padre di Montalbano scriveva: “Il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare”; una lingua che lui cominciò a usare perché si accorgeva che, per quello che voleva esprimere, l’italiano “aveva il fiato corto”. Così Camilleri accettò il consiglio del papà Giuseppe e scrisse il suo primo romanzo, coraggiosamente, proprio in dialetto siciliano.

E così quel dialetto, tutto d’un tratto, ridivenne lingua letteraria, risorse a una nuova giovinezza, riacquistando quella dignità che aveva avuto tanti secoli prima con quegli indimenticabili “poeti siciliani” che tutti abbiamo studiato a scuola: da Giacomo da Lentini a Cielo d’Alcamo, da Stefano Protonotaro allo stesso imperatore Federico II.

In fondo, se non fosse stato per l’inatteso exploit dei tre “toscanissimi” Dante, Petrarca e Boccaccio, molto probabilmente la variante letteraria successivamente scelta come base della futura lingua nazionale sarebbe stata proprio il siciliano.

E il Manzoni forse avrebbe ambientato i Promessi sposi ad Agrigento, anzi a “Girgenti”, naturalmente dopo aver “sciacquato i panni” nel Mare di Sicilia. Eppure, se per assurdo oggi, nel giorno della morte di Camilleri, parlassimo il suo l’italo-siciliano, forse non potremmo apprezzare il grande fascino, esotico e straniante insieme, della lingua di Montalbano.
E sarebbe proprio un peccato.