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Robert F. Kennedy Human Rights Italia, i giovani al centro dei nostri progetti

MARIA LINA MARCUCCI

Maria Lina Marcucci racconta il progetto di formazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia, basato sui valori per la libertà dell'individuo.

Maria Lina Marcucci fonda tra il 1984 e il 1988 Videomusic e Super Channel, le prime televisioni europee interamente dedicate alla musica e dal 1995 al 1999 viene nominata Vicepresidente della Regione Toscana per la cultura, comunicazione e turismo. Dal 2002 al 2007 è Presidente del CdA del quotidiano “L’Unità”, rilanciato nel 2001. Sempre nel 2001 fonda a Lucca Campus Studi del Mediterraneo, Fondazione non-profit che promuove corsi di alta formazione sperimentali. Dal 2005 è Presidente del CdA e Rappresentante Legale del Robert F. Kennedy Foundation of Europe. È anche presidente di Sestant e Sesant International e vicepresidente del gruppo Kendrion.

L’intervista a Maria Lina Marcucci

Sig.ra Marcucci, perché l’idea di una fondazione dedicata a un americano, Robert Francis Kennedy, proprio in Italia?

Gli ideali di Robert Kennedy non hanno confini. È stato uno dei politici (e dei pensatori) più visionari del mondo occidentale nel XX secolo e le sue idee ispirano ancora oggi le masse di tutto il mondo. La sua idea di giustizia sociale, di uguaglianza, di abnegazione nei confronti del proprio dovere è un patrimonio inestimabile per costruire la società di oggi e di domani. Per questo insieme ad altri amici dei figli di Robert Kennedy, all’inizio degli anni 2000, abbiamo deciso di portare in Italia il progetto educativo “Speak Truth to Power” che, per l’appunto, abbiamo chiamato “Coraggio senza confini”. Oggi vantiamo una presenza quasi capillare in tutta Italia e i nostri progetti abbracciano tutte le età, dalla scuola materna ai corsi post universitari, dimostrando che il nostro Paese ha un humus molto fertile per i diritti umani.

In questi 15 anni di attività il Robert F. Kennedy Human Rights Italia ha saputo parlare la “lingua dei diritti umani” a diversi strati di popolazione attraverso linguaggi diversi: il teatro, il cinema, la fotografia e la formazione nelle scuole. Questa eterogeneità che risultati ha portato?

La scelta di declinare i diritti umani in diversi linguaggi ci ha permesso di penetrare in diversi strati della società civile: dagli studenti alle loro famiglie, ai docenti, alle persone che si sono imbattute nei ritratti degli attivisti per i diritti umani coi quali collaboriamo quando abbiamo allestito la mostra nei centri commerciali Auchan di tutta Italia. Siamo infatti fermamente convinti che i diritti non siano (solo) una materia di studio, o qualcosa di teorico per addetti ai lavori, ma che permeino la vita di tutti, in ogni momento della nostra esistenza. Per questo è importante che chiunque sappia cosa siano i diritti umani e che tutti ci impegniamo a tutelarli ovunque nel mondo: perché un diritto violato in un angolo del pianeta è un diritto messo a repentaglio ovunque.

Perché ritenete così importante il lavoro di formazione con le scuole, le università, gli attivisti?

I giovani che oggi occupano i banchi di scuola o le aule universitarie saranno la società di domani. È necessario che capiscano fin dalla scuola materna che l’istruzione è uno dei pilastri fondamentali della libertà dell’individuo e che sappiano riconoscere le violazioni dei diritti fondamentali (come il bullismo, l’omotransfobia, la violenza di genere, il razzismo) per prevenirle. Per quanto concerne gli attivisti che provengono da ogni angolo del pianeta, la nostra missione è quella di fornire loro le competenze necessarie in termini di contatti, raccolta fondi, sicurezza digitale affinché siano non solo completamente indipendenti, ma che diventino a loro volta dei moltiplicatori per altri attivisti nei loro paesi di origine. È un po’ il senso del famoso “Ripple of Hope” di Robert Kennedy (“Day of Affirmation”, pronunciato a Città del Capo il 6 giugno 1966), ovvero l’idea che un singolo impulso di speranza si propaghi all’infinito.

Dal vostro sito e dai canali social si evince che ultimamente vi state concentrando su tre filoni ben delineati: il contrasto al bullismo e al cyber bullismo, la violenza di genere e le migrazioni. Cosa vi ha portato a questa scelta?

Il bullismo con tutte le sue declinazioni, la violenza di genere e le migrazioni sono i temi più urgenti non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Cerchiamo di analizzarli con l’aiuto di esperti e di trasmettere a chiunque sia interessato a migliorare il mondo le informazioni utili a cambiare le cose. Il bullismo è una piaga del mondo giovanile e sentiamo con urgenza la necessità di affiancare il mondo della scuola e le famiglie per contrastarlo e prevenirlo. Oppure la violenza di genere: in Italia le cifre sono spaventose, ma anche in altri Paesi “sviluppati”. Insistiamo molto anche sul fatto che la violenza è subdola: può iniziare con la gelosia, e trasformarsi rapidamente in tragedia. Le migrazioni poi sono un tema caldissimo e che sta cambiando il panorama sociale. Non possiamo girarci dall’altra parte, ma abbiamo il dovere di analizzare il fenomeno con la lente dell’inclusione lavorativa, scolastica e sociale, anche per suggerire, attraverso un lavoro di rete con altre ONG, università e centri di ricerca, delle politiche sostenibili e di lunga durata.

Quello che colpisce delle vostre attività, o meglio, del metodo in cui le approcciate, è la chiave positiva. Parlate di violazioni ai diritti fondamentali, ma con un’impostazione tesa a motivare il contrasto, la reazione. C’è un motivo particolare?

Abbiamo tratto spunto dalla Costituzione Americana, nella quale si parla di diritto alla felicità: è uno spunto che permea molti aspetti della cultura anglosassone e se ci pensiamo bene è speculare al modo in cui noi latini ci rapportiamo alla sofferenza. Per gli statunitensi il bene, la felicità sono il motore che muove le loro azioni: se ci si comporta bene, si avrà del bene. Quando si incontra il male dobbiamo allora non attendere passivamente che qualcuno o qualcosa ci salvi, ma essere noi “il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”, come disse appunto il Presidente Kennedy. Ecco, anche quando parliamo di bullismo, o di violenza contro le donne, non ci limitiamo a fornire spunti su come si debbano contrastare questi fenomeni, ma anche alle vittime diciamo che si può e si deve andare avanti. Il libro di Kerry Kennedy è stato portato in teatro grazie al lavoro di sceneggiatura di Ariel Dorfman, che nella parte che gli antichi greci avrebbero affidato al Coro fa ripetere agli attivisti “Ho fatto quello che dovevo perché la vita non avesse il sapore della cenere. C’è sempre una luce in fondo al tunnel”. Vorremmo che tutti si sentissero in grado di arrivare alla fine del tunnel.

Cosa può fare un singolo cittadino per aiutare le vostre attività?

Può seguirci sui nostri social (Facebook e Instagram) e sul nostro sito www.rfkitalia.org. E coinvolgere altre persone nelle nostre attività, soprattutto quelle scolastiche, a cui teniamo moltissimo. E per sostenerci possono fare una donazione scrivendo a infoitalia@rfkhumanrights.org per sapere come fare.