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Da scoria a fonte di energia

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E se le scorie nucleari fossero tutto, tranne che scorie? La definizione di scoria, o rifiuto, ha come fondamento il fatto che qualcosa, materiale, oggetto o prodotto, non sia più utilizzabile all’interno del ciclo produttivo, del sistema economico. La conseguenza è l’espulsione e l’invio ai...

E se le scorie nucleari fossero tutto, tranne che scorie? La definizione di scoria, o rifiuto, ha come fondamento il fatto che qualcosa, materiale, oggetto o prodotto, non sia più utilizzabile all’interno del ciclo produttivo, del sistema economico. La conseguenza è l’espulsione e l’invio ai centri di trattamento o distruzione: forni di incenerimento, discariche, depositi di stoccaggio. Una procedura che vale per qualunque bene, oggetto, prodotto, si tratti di vetro, ceramica, plastica, metalli di ogni genere. E naturalmente vale anche per il carburante nucleare e per i materiali radioattivi in genere.

97717028.jpgNegli ultimi decenni, sotto la spinta della necessità, la tecnologia ha sviluppato sistemi e procedure per allontanare sempre di più il momento in cui plastica, metallo, vetro e qualunque altra cosa in genere viene espulsa dal sistema economico. Questo, però, vale anche per i carburanti nucleari usati ed i materiali radioattivi: simbolo dell’incubo radioattivo, per molti,risorsa economica di enorme valore per altri.

Per una buona parte del mondo, in effetti, la chiusura delle centrali nucleari non rappresenta una scelta auspicabile, e ancora meno un’opzione economicamente consigliabile: verrebbero a perdere una fonte fondamentale per il loro sviluppo economico e sociale.

Perché il nucleare possa mantenere il suo ruolo come motore di sviluppo, però, è necessario da una parte sviluppare sistemi sempre più sicuri, che eliminino o almeno limitino la possibilità di incidenti e le loro conseguenze; dall’altra allungare i tempi di permanenza del materiale nucleare all’interno del circuito produttivo, spostando sempre più in là il momento in cui diventano rifiuto. Ecco dunque che le grandi case ed i laboratori di ricerca di tutto il mondo sono impegnati in programmi di ricerca che puntano a questo obiettivo.

Si va dalla Advanced Fuel Cycle Initiative del Dipartimento della Difesa USA ai programmi di industrie private, come il GE Hitachi Nuclear Energy che punta a recuperare l’uranio che viene normalmente scartato durante il processo di arricchimento. GE Hitachi sostiene che i suoi reattori modello PRISM siano in grado di estrarre dall’uranio più di cento volte la quantità di energia rispetto ai processi di tipo “once-through” di oggi. Di fatto, vorrebbe dire recuperare l’equivalente dei consumi elettrici di 600mila abitazioni, negli USA, o 3 milioni di tonnellate di carbone. Un impianto nucleare di 1000 MW, se alimentato con questo carburante utilizzato recuperato, potrebbe produrre energia per 10 milioni di abitazioni per un anno.

I francesi sono riusciti, grazie al loro impegno in queste tecnologie di recupero, a rimettere nel circuito una buona parte delle 90mila tonnellate di carburante commerciale utilizzato negli ultimi 30 anni.

Adesso anche gli USA sembrano decisi a riprendere la strada del recupero, abbandonata decenni fa.