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Dai Måneskin a Benedetta Pilato, i ragazzini cambieranno il mondo

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Il mondo è nel 2021 ma noi siamo ancora fermi agli anni Ottanta: solo i ragazzini custodiscono ancora la forza del sogno.

Forse, e per davvero, ci salveranno i ragazzini. Con il loro entusiasmo da ventenni, con la spregiudicatezza ribelle dell’adolescenza che non conosce né limiti né paure, perché non ha ancora assorbito l’adagio nazionale di matrice andreottiana del “meglio tirare a campare, che tirare le cuoia” e spera ancora (per fortuna) che le cose si possano trasformare. Per sempre. Per tutti.

Ci insegnano – le giovani italiane e i giovani italiani – che la strafottenza può essere un valore. Ci spiegano che quando in qualcosa si crede per davvero e si sa condividere (anche con una instagram stories, o con un video su tiktok) non è più un sogno personale ma un’ambizione partecipata.

Lo hanno dimostrato in questi giorni i Måneskin – capaci di passare in una manciata di anni da cantanti che si esibivano nelle strade di Roma a trionfatori dell’EuroVision – e la tarantina Benedetta Pilato, sedici anni, che ha nello sguardo il coraggio nelle proprie capacità: a Budapest ha battuto il record mondiale nei 50 rana con la naturale consapevolezza di chi sa che la sfida non è con gli altri, ma con se stessi. Prima di loro avevano raccontato la libera forza dei ragazzini – e di quel momento in cui ti senti capace di caricarti il mondo sulle spalle, e niente ti può fermare – anche Chiara Ferragni, in grado di anticipare il tempo e farne un impero, e Achille Lauro, artefice della trasformazione di quella messa cantata che storicamente è Sanremo in un happening.

Oggi Måneskin e Pilato non producono solo uno sbigottimento invidioso da parte degli adulti – che in molti casi non ne decifrano gli atteggiamenti estremi, sbattuti in faccia con una straordinaria attitudine rock – ma sottolineano come in un mondo iper-competitivo, che ti spinge a considerare gli altri come rivali, sia necessario ridefinire dogmi e aspettative.

Questi cinque giovani italiani – la cui età sommata supera appena i cento anni – dimostrano quanto sia importante ribaltare le regole. Annullare il conflitto per concentrarsi – in nome di tutti – su grandi sfide. Tutti e cinque dimostrano di non aver puntato al ribasso, cercando di fare il minimo indispensabile, ma di aver alzato lo sguardo verso un obiettivo apparentemente irraggiungibile, riuscendo a regalarci uno sprazzo di orgoglio nazionale libero dal pregiudizio, e capace di farsi inclusiva conquista. Anche per noi, che abbiamo assistito alla competizione musicale sul divano, o guardato gli Europei di nuoto dalla cucina.

Fanno immaginare – questi bellissimi cinque giovani – un piccolo 1968 domestico. Quando uscì “Il mondo salvato dai ragazzini”, in cui Elsa Morante tracciava il suo manifesto politico e poetico. Svelava, la scrittrice, una stagione che ambiva a una trasformazione politica e morale, si appellava all’energia, alla bellezza e alla forza dei giovani: gli unici che avrebbero potuto cambiare il mondo. A distanza di cinquantatré anni è difficile credere se i ventenni di allora il mondo – o, meglio, l’Italia – lo abbiano cambiato. Di certo, però, è stato fatto più dal 1968 al 1970, che nei rimanenti cinquant’anni. Da decenni siamo dunque sprofondati in un pantano dell’animo, lobotomizzati dalla fluida società dell’acquisto, che s’inalbera adesso nel capitalismo più barbarico ora nell’assistenzialismo più limpido.

Oscilliamo a colpi di click (o di scroll), vagando nella rivoluzione digitale, cullati dalle nostre bolle di amici che condividono pienamente le nostre opinioni, e che si aprono non al mondo, ma esclusivamente al piccolo specchietto di terra che abitano con guardinga, possessiva, capacità. Ci convinciamo di non essere mai stati così connessi, e trascorriamo le nostre giornate più nel cyberspazio che nel quartiere, educandoci a una realtà globale che evidentemente non ha niente a che vedere con quella fisica: eppure ci piace credere che non sia così. Ci piace credere che, siccome una cosa è vera a Londra o a New York, debba esserlo anche per noi; non pensiamo che al mondo esistano anche Delhi e Bogotà.

Il mondo è nel 2021, ma noi siamo ancora fermi agli anni Ottanta. E la pandemia non ha fatto che mostrare l’intrinseca fragilità di quello che abbiamo iniziato a definire “sistema Italia”. E che, in realtà, siamo sempre e solo noi.

Ci piace dimenticarci che siamo pedine di uno schema accentratore, maschilista, retrogrado e gerontofilo. Giochiamo una partita di scacchi con Deep Blue, ma noi non siamo Kasparov: siamo solo dei dilettanti. Dei dilettanti che si arrendono alla realtà, mentre i ragazzini custodiscono la forza del sogno. E lo fanno anche ai tempi del Covid-19, mostrando che la gioia e la determinazione a vivere – a uscire, ad abitare la città, le spiagge e le discoteche – sia un atto dovuto: un esercizio dell’essere. E lo fanno, questi ragazzini, mostrando a noi adulti come il sogno non sia irrealizzabile, ma solo un esercizio profondo da portare avantri con dedizione, amore e ambizione. Valori che appaiono perduti nel mondo degli adulti, soggiogati dall’invidia e dalla rivalità. Valori fondanti che dovremmo tutti quanti recuperare. Imparando dai ragazzini. Nella speranza che saranno loro, e questa volta per davvero, a cambiare il mondo.