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Daniele Garozzo: "Il mio sogno era diventare campione olimpico ma nel mio futuro vedo la medicina"

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Campione olimpico di Fioretto, Daniele Garozzo si è raccontato nell'intervista a Notizie.it tra sport e vita da studente di Medicina.

Schermidore professionista specializzato nel fioretto, è riuscito a conquistare la medaglia d’Oro ai Giochi di Rio 2016 riconfermandosi poi 5 anni dopo con l’argento a Tokyo 2020. Nell’intervista a Notizie.it ha raccontato la sua vita da studente-atleta e i programmi per il futuro.

Come ti sei avvicinato a questa disciplina e come mai hai scelto proprio il fioretto?

E’ stato un po’ casuale. Io da piccolo amavo gli sport da combattimento e nella mia città c’era solo la scherma che poteva realizzare questo sogno. Vicino casa ha aperto una palestra e i miei genitori mi ci hanno buttato dentro. Il fioretto è l’arma più tecnica e di addestramento. Poi tanti passano alla spada o alla sciabola. Come dico sempre: chi riesce col fioretto resta, chi non riesce si adatta ad altro.

Non è una scelta così banale già da bambini perchè la scherma non è uno sport così scontato?

No, infatti come dicevo io non ho detto “Mamma, papà, voglio fare scherma“. Era più un desiderio di combattimento. Mi ricordo che volevo fare karate, boxe.

Però possiamo dire che la scherma per te sia un po’ un affare di famiglia. Diciamolo: tuo fratello è Enrico Garozzo.

Noi siamo proprio circondati. Ci sono io che faccio scherma di professione, mio fratello anche lui medaglia d’argento alle Olimpiadi di Rio, la mia ragazza (Alice Volpi, ndr) che è medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokyo 2020, mia cognata, che è medaglia d’Oro con l’Estonia alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Quindi si parla solo di scherma, si parla sempre di lavoro.

Hai vinto l’oro a Rio 2016 e l’argento a Tokyo 2020. Che emozione si prova ad arrivare per due volte sul podio di una competizione importante come le Olimpiadi?

L’emozione è gigantesca. E’ veramente difficile riassumere in poche parole quello che provi quando sali sul gradino più alto del podio. Io ci ho messo una vita per scalare quella vetta e chiaramente è una sensazione di pienezza assurda. Poi a Rio era un po’ inaspettato, io avevo 23 anni ero già considerato tra i più forti al mondo ma ero il numero 7, quindi non ero il favorito. Essere entrato lì e aver fatto quella prestazione non si può nemmeno descrivere, quando metti l’ultima stoccata e dalla fase di concentrazione in cui sei ovattato passi a sentire 10 mila persone che urlano.

L’emozione a Tokyo è stata un po’ diversa, devo essere sincero, ero già arrivato come campione affermato. E’ stato comunque un grande successo, che mi riempie di orgoglio, perchè comunque confermarsi a distanza di 5 anni, per lo spostamento delle Olimpiadi per la pandemia, è stato comunque un grande risultato. Però lì per lì c’era più amarezza per aver perso l’assalto finale: oggi ti dico “Ho vinto la medaglia d’argento“. Lì per lì io avevo perso la medaglia d’oro e quindi i primi giorni facevo fatica ad essere felice.

E’ stata anche un po’ un’Olimpiade anomala a causa della pandemia. Ti ricordi dov’eri e cosa hai provato quando ti hanno annunciato che avrebbero rimandato le Olimpiadi di un anno?

Si, eravamo in pieno lockdown. Ero a casa della mia ragazza e ricordo che il Commissario Tecnico ci mandò l’articolo dicendoci appunto che avevano rimandato le Olimpiadi. In realtà però ce lo aspettavamo: era impossibile che riuscissero ad organizzare in così poco tempo un’Olimpiade con tutti quei problemi che c’erano, soprattutto in Giappone. Io non l’ho vissuta con disperazione, in quel momento c’erano problemi più gravi da affrontare.

A livello sportivo come è stato vivere il lockdown?

In realtà quei due mesi sono stati forse i più belli della mia vita, se non fosse per tutte quelle brutte notizie che arrivavano da fuori. Sono stato da paura, stavo a casa tranquillo, studiavo, facevo i miei esercizi per tenermi in forma. Non avevo la vita frenetica che ho di solito da studente e atleta che veramente mi ha logorato per anni.

Tornando invece alle Olimpiadi, noi in tv vediamo solo l’ultima parte. Ma cosa c’è dietro? Com è la vita da villaggio olimpico?

Diciamo che è tutto il contrario di ciò che si dice in giro. Sentivo storie di amori nati alle Olimpiadi, di gente che faceva festa. E’ impossibile. Quando sei lì pensi solo alle gare ed è giusto così.

Nel mio caso sono state due olimpiadi molto differenti. C’è stato proprio uno stacco netto tra Rio, in Brasile, senza pandemia, una festa anche dal punto di vista emotivo. La città era felice di accogliere i giochi, i brasiliani erano contenti di vedere gli atleti. Passeggiavi un pomeriggio e tutti cantavano. A Tokyo eravamo chiusi in camera e quando uscivamo era solo per andare a mangiare e poi tornare chiusi in camera perchè avevamo paura di prendere il virus e non poter gareggiare. Non è stata un’Olimpiade classica sotto questo aspetto.

Il tuo percorso è stato un po’ strano: hai una vita da studente e atleta perchè hai deciso di portare avanti il tuo impegno universitario in Medicina. Come riesci a far coincidere il tutto?

Non ci riesco. E’ stato veramente faticoso, ormai siamo alla fine del percorso e non c’è Olimpiade che tenga ma c’è voluta tanta fatica. Riuscire a conciliare le due cose prevede una quantità di sacrifici che tornassi indietro probabilmente sceglierei di rifare ma consapevole che è stata una bella montagna da scalare. Ci ho messo tanto tempo perchè ho studiato, invece che 6 anni, 10 anni quindi sono fuori corso di 4 anni però siamo quasi arrivato.

E’ una scelta che rifarei. Io consiglio a tutti i ragazzi di studiare e la soddisfazione più grande che ho avuto nella mia carriera, nella quale non sono diventato un atleta popolare, è stata che tante volte i genitori dei bambini mi dicono “Grazie Daniele sei davvero un esempio per i nostri figli” e questa è la cosa più bella che ci possa essere. Studiare ti permette di imparare cose che vanno al di là della laurea, delle competenze tecniche che si apprendono. Quello che mi dispiace è che la figura dello studente-atleta in Italia è trascurata. In America le migliori università a 18 anni mi offrivano i college, borse di studio, ma per me voleva dire lasciare la Nazionale e abbandonare il sogno di diventare campione olimpico. Per questo ho scelto di restare e sono contento di come è andata.

Diciamo che se tornassi indietro lo rifarei, ma spererei in un mondo in cui in Italia l’atleta è un po’ più tutelato.

E secondo te perchè in Italia c’è questa situazione?

Diciamo che in Italia viviamo una dicotomia per cui o scegli di fare l’atleta o scegli di fare lo studente. E te lo dicono anche i professori. Tante volte, soprattutto prima della vittoria olimpica a Rio che a me ha cambiato tanto, chiedevo di anticipare l’esame a prima della partenza per il ritiro, ma il professore mi rispondeva che non era possibile. Quindi quello che manca secondo me è proprio la volontà di farlo. Ad oggi vedo poche realtà in questo senso. Ad esempio a me, dopo le Olimpiadi, Tor Vergata ha aiutato: mi ha permesso di avere un tutor che mi segue, ho quel rapporto con i professori per cui riesco a conciliare le gare e gli esami. Sono piccolezze, che però concretamente cambiano la vita dello studente.

Tu hai anche scherzato sui social su questa cosa dicendo di esserti presentato in Università con la medaglia olimpica al collo e in parecchi hanno addirittura chiesto se la potevi mettere in affitto.

Sono molto seguito dalla comunità medica studentesca. Mi seguono con piacere perchè vedono che io, nonostante sia un campione olimpico, condivido le loro stesse sfortune, la loro stessa vita e questa cosa piace.

E invece ti è mai capitata la situazione opposta? Cioè essere giudicato in maniera negativa in quanto campione olimpico?

Alcune volte è capitato in sede universitaria. Magari giudicavano il fatto che io spendessi tanto tempo negli allenamenti e si chiedevano come potessi essere preparato stando tutto il giorno ad allenarmi ancora prima di interrogarmi e di sentire davvero se fossi preparato o meno.

Nel tuo futuro quindi vedi la scherma e lo sport, o la carriera in medicina?

Per adesso ancora tutti e due. Io conto di laurearmi il 22 marzo e ancora a 29 anni ho davanti tanti anni di carriera. Non so se abbandonare del tutto la scherma per dedicarmi alla formazione medica. Onestamente non penso lo farò, credo che proverò ancora a conciliare le due cose facendo altri sacrifici. Conto di arrivare alle prossime Olimpiadi nella forma nella quale sono ora.

Quindi il Daniele bambino si vedeva medico o campione olimpico?

Campione olimpico. Superstar dello sport. Diciamo che adesso il Daniele adulto vede nel futuro la medicina. Sicuramente arriverà la fine della mia carriera e non farò il maestro di scherma, sicuramente mi dedicherò al mondo medico. Diciamo che non vorrei abbandonare del tutto la scherma, penso magari ad un ruolo dirigenziale per fare del bene al mio sport che ne ha tanto bisogno. La scherma è uno sport che ha dato tantissimo all’Italia in termini di medaglie. E’ lo sport in cui abbiamo vinto più medaglie alle Olimpiadi, però poi concretamente facciamo fatica a emergere dal punto di vista di popolarità.

Non sono riuscito con le mie gesta sportive a diffondere il mio sport, spero di farlo una volta che sarà terminata la mia carriera.

Forse il problema è proprio legato alla mancanza di proposta di questo sport. Di fatto alle Olimpiadi le vostre gare sono state seguite, quindi forse l’interesse nel pubblico ci sarebbe se solo la disciplina venisse maggiormente considerata.

Purtroppo non riusciamo a proporre qualcosa di fruibile allo spettatore che non sia una volta ogni 4 anni perchè è troppo poco. Se anche solo uno o due eventi l’anno venissero “venduti” meglio da parte del nostro movimento sicuramente avremmo più appassionati. Una volta ogni 4 anni è troppo poco per riuscire a creare un movimento sportivo forte.

Quali sono i tuoi prossimi impegni sportivi?

La prossima gara è a fine febbraio, a Il Cairo, ed è qualificante per i mondiali che si terranno a luglio sempre a Il Cairo. Purtroppo siamo rimasti un po’ penalizzati dalla situazione pandemica non tanto per quanto riguarda i protocolli sanitari, ma proprio quello organizzativi. Siamo tantissimi a fare le gare di scherma ed è difficile organizzare un evento con così tante persone perchè risulta sempre sovraffollato. Per questo hanno annullato molte gare.