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Danilo Petrucci: "Con la Dakar ho ritrovato la passione per le moto, ora vado a correre in America"

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Dopo aver lasciato la MotoGP e aver disputato la sua prima Dakar Danilo Petrucci è pronto per una nuova avventura negli Usa: il suo racconto a Notizie.it

Dopo 10 anni nel motomondiale Danilo Petrucci ha deciso di lasciare la MotoGp per dedicarsi a nuovi progetti e nuovi stimoli. A gennaio 2021 ha preso parte alla Dakar, diventando il primo pilota ad aver vinto sia una gara in MotoGp che una tappa della Dakar. Al suo ritorno in Italia ha raccontato a Notizie.it qualche aneddoto divertente e i suoi progetti per il futuro.

Sei reduce da una grandissima esperienza, la Dakar. Che esperienza è stata?

Era la mia prima Dakar e non sapevo bene che cosa aspettarmi, però, quando sono arrivato e mi hanno cominciato a chiedere come fosse la Dakar, ho detto è talmente dura che è difficile anche da spiegare, perché comunque era una cosa che non avevo mai fatto ed ero abituato totalmente ad un tipo di gara diverso. Poi con tutti i problemi che ho avuto è stato un po’ più difficile, sono andato con una caviglia rotta poi mi hanno trovato positivo al covid, quindi l’ho fatta un po’ in tutti i modi, ho dormito in tenda o in camper. Però, è stata sicuramente una delle esperienze più belle della mia vita, sportivamente parlando sicuramente una cosa grandissima vincere una tappa al debutto e, anche personalmente, devo dire che per tre settimane sei un po’ isolato dal mondo che ti circonda normalmente, è stato molto bello.

Possiamo dire che sia stata a tutti gli effetti una montagna russa questa Dakar, perché sei passato dal rompere la moto, e quindi doverti ritirare, al vincere una tappa. Diciamolo, sei il primo pilota ad aver vinto una gara Moto GP e una tappa della Dakar. Come ti sei sentito in quel momento?

È stato un po’ particolare perché, proprio come dicevi te, è stato un po’ un roller coaster di emozioni. Mi è stato detto che avevo vinto quando ero in ambasciata, perché avevo perso il passaporto un paio di giorni prima insieme al cellulare, quindi non avevo più niente, per tornare a casa fare ho dovuto rifare il passaporto. Sono andato in ambasciata a Riyad proprio il giorno che ho vinto, quindi l’ho scoperto dopo che avevo vinto e più che altro non credevo di riuscirci così presto. È stata dura finirla, perché sono caduto due volte in modo molto forte, ho la clavicola slogata così come il radio, però sembrava che non dovesse nemmeno partire tutto sinceramente, poi invece è andata a finire molto, molto meglio di come pensavamo.

Una soddisfazione in più direi, visti anche tutti i problemi e gli inconvenienti che hai dovuto superare. Come è nata l’idea, di prendere parte ad una competizione così diversa da quelle che avevi disputato fino a prima di partire?

Era una gara a cui ho sempre voluto partecipare fin da bambino. Da bambino guardavo sempre le videocassette del Motomondiale e della Dakar. Chiaramente quando ero bambino volevo diventare più forte, quindi diventare campione del mondo della MotoGP.

Come qualche bambino vuole fare l’astronauta, io volevo diventare pilota e ci sono riuscito a diventare pilota di moto, sono riuscito a vincere due gare in moto GP, non sono riuscito a vincere il campionato del mondo. Quando ho capito, ho realizzato che non sarebbe più stato possibile per me fare questo, ho cercato di fare qualcosa che mi piacesse, cioè andare in moto, che è la cosa che mi piace di più. Mi sono detto “questa è una cosa senza pressioni, non devo fare risultato, è più un’esperienza”, così la prima volta, anche perché non avevo assolutamente esperienza. Mi sono detto “ci provo”. Però tutta questa cosa qui, che sembrava partita per scherzo, alla fine mi ha fatto diventare unico al mondo, sono riuscito a essere, come hai detto prima, l’unico che è riuscito a vincere una gara in Moto GP e uno stage alla Dakar, quindi è una bella sensazione quella di essere riusciti a fare una cosa nella quale sono riuscito solo io al mondo, ecco una bella soddisfazione.

Però sono due realtà completamente diverse quella della Dakar e quella della Moto GP. Forse la Moto GP la conosciamo un po’ tutti, chi più chi meno, ma comunque meglio, perché è una realtà abbastanza popolare, mentre invece la Dakar lo è un po’ meno. Tu che le hai vissute entrambe sei sicuramente la persona che ci può raccontare in cosa sono opposte, diverse queste due esperienze.

Diciamo che a livello di impegno e di adrenalina sono molto simili: guidare la moto a 350 km/h in pista è come andare a 170 km/h nel deserto, sono due cose che fanno solo pochissime persone al mondo e avere la fortuna, la capacità e l’opportunità di farlo è una cosa che mi riempie di orgoglio. Questo è quello che c’è di simile tra la Moto GP e la Dakar. Per il resto sono totalmente differenti, perché alla Dakar sei molto tempo da solo, sei quasi sempre da solo in mezzo al deserto. In Moto GP sei continuamente ripreso dalle telecamere che per motivi di sicurezza ti seguono sempre, appena cadi sei subito soccorso; alla Dakar potrebbe passare anche mezz’ora prima che qualcuno ti soccorra. Sicuramente si corre in dei posti molto più scomodi della Moto GP, la vita del pilota di Moto GP e della Dakar è molto differente, diciamo che è l’opposto. Quello che le accomuna, come ho detto, è l’emozione che mi dà guidare quelle moto, come me la dà la Moto GP me la dà anche la Dakar, un po’ tutte le moto, per questo l’ho fatto.

Ti faccio una domanda un po’ scomoda: quale delle due esperienze ti ha dato di più o, se dovessi scegliere, preferiresti?

Il fatto è che ho fatto molti anni in Moto GP e per questo ho tantissime storie da raccontare, tanti momenti bellissimi in Moto GP e quindi dovrei fare almeno altri 9 anni in Dakar. Ho fatto 10 anni di Moto GP, dovrei fare altri 9 anni di Dakar, perché è stata sicuramente, come ho detto, un’esperienza bellissima così come lo è stata la Moto GP. È chiaro che per come vanno adesso le cose non penso di essere competitivo in Moto GP come lo posso essere nella Dakar, quindi con il dovuto impegno diciamo di allenamento, avendo tutti gli arti a posto mi piacerebbe provare a rifarla, la Dakar. Non è che c’è un qualcosa di meglio o di peggio. Adesso da quando ho smesso con la moto GP mi vorrei divertire guidando le moto e la Dakar è stata una cosa che mi ha fatto divertire molto, mi ha fatto soffrire però anche divertire molto.

Ti va di raccontare un po’ ai nostri spettatori che cosa c’è dietro, quanto lavoro e quante pressioni, insomma quanto bisogna essere forti per essere un pilota di Moto GP?

Tanto, nel senso che se sei un pilota di Moto GP significa che stai guidando il miglior prodotto di una casa costruttrice di moto e hai una responsabilità molto grande. Diciamo che per farti vincere quella casa lì, con il team e con gli sponsor, spende molto. Hai una pressione non indifferente, ma è una pressione buona, perché comunque è quello che ti forma così tanto, quello che ti fa alzare tutte le mattine e fare allenamento, più che altro, non andare tantissimo in moto. Perché, purtroppo, in Moto GP l’ultima delle cose che fai è andare in moto, si fanno talmente tante altre cose che vai molto poco in moto.

Sembra un paradosso!

Si, è strano, però quelle moto lì sono talmente tecnologiche e sofisticate che non ci si può girare sempre, non puoi avere quell’opportunità e comunque sarebbero dei costi pazzeschi. Quindi vai molto poco in moto, devi gestire una pressione, devi performare molto, devi essere bravo a parlare, purtroppo devi parlare con tante persone, ingegneri, sponsor, giornalisti soprattutto. Devi fare molte cose che magari non ti piacciono, però devi metterci impegno per farle, che non è solo esclusivamente a guidare la moto.

Tu sei arrivato in moto GP nel 2012 e ci sei rimasto per quasi 10 anni praticamente, ma ci sei arrivato con un percorso un po’ anomalo. Noi adesso siamo molto abituati a vedere una sorta di scalata, dalla moto 3 alla moto 2 e poi l’arrivo in moto GP. Tu sei arrivato direttamente in moto GP nel 2012 da un campionato completamente diverso. Come è stato questo passaggio per te, anche emotivamente?

È stato sicuramente un percorso un po’ particolare. Diciamo che un bambino inizia a correre grazie al papà, quindi ho iniziato grazie al mio papà che mi ha portato in moto, però non voleva che per me fosse una forzatura. Sicuramente glielo chiedevo io, non me lo ricordo, però io ero continuamente tra i giornali e le videocassette delle moto e chiedevo continuamente della moto, quindi dai tre anni in poi mi ha portato in moto. Aveva paura che io mi scottassi, quindi mi ha fatto cominciare dal trial, che è una specialità molto diversa; poi sono passato al cross e poi sono passato alla velocità e anno per anno comunque sono cresciuto sempre di categoria, fino a quando alla fine del 2011 mi contattarono per andare in Moto GP comunque facendo un bel salto in avanti, come, non lo so, se un giocatore dalla C2 va in serie A, quindi un salto in avanti grande. Chiaramente era il mio sogno, ma quando sono arrivato lì la squadra era nuova, la moto era costruita poco più che artigianale, io che ero molto giovane non conoscevo quasi niente di quel mondo e i primi tre anni sono stati veramente… diciamo che gli schiaffoni li ho presi ad andare e tornare. Quindi sono state veramente piccole soddisfazioni in un mare di disastri! Però ho imparato, ho tenuto duro, quando potevo tiravo fuori il meglio. Nel 2015 è cominciata la mia storia, quella che conoscono un po’ tutti, ho cominciato a salire sul podio e vincere due gare e via dicendo.

Col senno di poi, pensi che un percorso diverso ti avrebbe portato altrove?

Il fatto è che a 12/13 anni già ero parecchio grande, cioè già ero alto più di 1,70 m e quindi a 15/16 anni ero come adesso, perciò ero troppo grande per le per le 125 o per le Moto 3, non avrei potuto minimamente andar forte. Quindi cominciammo dalle categorie più grandi, dove invece ero molto giovane e avevo tempo di imparare, però andai forte quasi da subito. Quello mi ha permesso comunque di mettermi subito in luce, anche se non è che avessi tanti anni di esperienza, di velocità. Non ho fatto le mini moto, venivo dal motocross. Quindi, ecco, le ho fatte un po’ tutte, per questo anche la Dakar mi è venuta bene! Nella mia vita ho guidato solo moto praticamente.

10 anni in moto GP purtroppo non coronati da un mondiale. Volendo fare un po’ un bilancio, cosa credi che ti sia mancato realmente per arrivare al massimo titolo?

Ho sempre un po’ pagato la mia stazza, le dimensioni, perché comunque sono sì alto, ma anche muscoloso, quindi sono pesante, arrivo a pesare anche 15/20 kg più degli altri ragazzi che sono più piccolini, sono più fantini. Negli ultimi due anni sono cambiate un po’ le regole con le moto e con le gomme e ho fatto veramente fatica ad essere competitivo. Nel 2019, invece, sono andato forte, sono stato terzo per la maggior parte del campionato, ma dire che cosa mi è mancato non lo so. Sicuramente un po’ di costanza, ma più che altro avevo Marquez. Diciamo che, con lui in mezzo, era veramente difficile vincere quell’anno contro di lui. Ci sono riuscito una volta; le altre volte, però, veramente in pochi siamo riusciti a batterlo. Ci sono stati degli anni in cui mi ero fatto magari 4/5 podi, però magari li alternavo a degli errori o delle rotture tecniche, quindi diciamo che un po’ è stato un insieme di cose. Però, chiaro, col senno di poi è facile dirlo! Però ho dall’altra parte la serenità di aver dato tutto quello che potevo. Lì, nel momento del “qui e ora”, non mi sono mai tirato indietro e questo comunque è quello che mi fa stare sereno, ecco.

Credo sia anche poi quello che ti ha fatto prendere con relativa serenità l’idea di lasciare la moto GP e di dedicarti ad altro.

Sì. Non volevo andare in Superbike perché comunque sarebbe stato un impegno simile a quello della Moto GP. Perciò ho detto vorrei prima ricostruire un po’ quell’ispirazione che ho quando guido la moto, devo un po’ ritrovarmi. Per questo ho scelto di fare una sorta di pellegrinaggio alla Dakar, mi è piaciuta tanto e adesso con la dovuta preparazione magari ci tornerò. Adesso vediamo!

Prima hai fatto riferimento ai tuoi avversari. Noi vi vediamo sempre in lotta, perché vi vediamo mentre siete in pista, ma poi nella realtà che rapporto c’è tra di voi?

Devo dire che ogni tanto ci capita di litigare in pista e quando siamo lì purtroppo non vediamo altro. Però dopo con tanti piloti, cioè con tutti i piloti devo dire in Moto GP, soprattutto con quelli che sono lì da tanti anni, c’è molto rispetto e quindi la cosa si chiarisce. Fortunatamente c’è stato un grande passo avanti, anche perché comunque in moto GP sei lì, rischi la vita e soprattutto lo senti ancora di più alla Dakar. Veramente tra piloti si condivide proprio un’avventura, c’è totalmente un altro atteggiamento tra colleghi in Moto GP e tra colleghi alla Dakar. Comunque ci si fa tanto male, ci si può far tanto male, quindi si cerca di essere competitivi però in dei limiti che rimangano sul lato professionale, non personale. Non ci deve essere astio tra noi.

Anche perché io credo che, al di là poi del rapporto che ci sia una volta messa la moto nel box, al contrario quando si è in pista e si allaccia il casco si è soli e bisogna rimanere concentrati, anche perché, il rischio è abbastanza importante, no?

Sì, c’è il rischio. Poi comunque c’è il fatto che stai correndo con una moto che è il miglior prodotto di una casa in cui tante persone lavorano e te sei l’ultimo che la utilizza, quello che deve portarla a fare il risultato, quindi c’è molta professionalità a quei livelli. Purtroppo l’istinto lo devi lasciare a casa, sia per motivi di sopravvivenza sia per il fatto di avere un atteggiamento sempre professionale nei confronti dei colleghi, di chi lavora per te, della moto e degli avversari.

Se non avessi fatto il pilota, cosa avresti fatto nella vita? Ci hai mai pensato?

Chiaramente questa domanda me l’hanno fatta tante volte e non ho saputo rispondere, perché ho sempre desiderato fare quello e ci sono riuscito. Sicuramente una cosa che mi sarebbe piaciuta fare sarebbe stata il cuoco, perché mi piace cucinare ogni tanto, da piccolo mi piaceva molto. Crescendo, anche mettere la musica, la musica mi piace molto e fare il dj è una cosa che mi sarebbe piaciuta fare. Quindi queste due cose. Non c’ho mai pensato veramente, ho pensato delle volte al cuoco, altre volte a fare il dj quando ero già un po’ più grande, però comunque le moto mi hanno sempre portato via tantissimo tempo e spazio per l’allenamento e per fare tutto quello che facevo. Ho questi hobby, ma alla fine i tuoi hobby diventano fare allenamento.

Tu sei stato sempre molto seguito e molto amato dai tifosi nei circuiti, ma so che al tuo ritorno dalla Dakar hai trovato un un’opera d’arte ad aspettarti, quindi comunque i tuoi fan ti sono stati vicini anche mentre eri in mezzo al deserto. Li hai sentiti vicini anche in quel momento?

Sì. È stata bella questa Dakar perché comunque grazie al fatto che io ho partecipato, tante persone hanno ricominciato a seguirla e tantissime persone mi hanno seguito proprio durante la Dakar. Poi mi sono inventato di fare le dirette la sera e quelle, non so perché, piacevano molto. Sono venuto a sapere che tutti i miei amici e persone a cui voglio bene valevano fare una festa e venirmi a prendere in aeroporto, però ero veramente stanco e avevo parecchio dolore al polso e alla spalla, allora ho detto a mio papà – che mi veniva a prendere – di dire a tutti i ragazzi che non riuscivo e che volevo andare a casa a riposarmi un po’. Quella del murales è stata un’idea di mio fratello e dei miei amici più stretti. Mio fratello insieme ad un altro nostro amico hanno chiamato questa disegnatrice che si chiama Flo, lei è venuta da Torino la sera prima, quindi sono stati svegli tutto il giorno e tutta la notte per disegnare questo murales enorme su un silos dove mettevano il grano di un casale che prima era di agricoltori, invece adesso c’è una casa famiglia. Sono stati tutti contenti, anche il prete, di avere questo murales che si vede arrivando a Terni.

Possiamo dire che in questo caso i social hanno fatto un buon servizio, perché nonostante tu sia stato molto lontano sei riuscito comunque ad avere il loro sostegno?

Assolutamente. Io non sono un tipo molto social, il fatto è che fino alla Moto GP non si potevano fare video, i video che girano sono le loro riprese. Alla Dakar, però, tante persone mi chiedevano come era andata la gara perchè non avevano potuto vedere il live timing, allora ho cominciato con delle storie, poi erano troppo corte, allora ho detto, invece di mandare 20/30 messaggi quasi tutti uguali su quello che faccio, adesso faccio come chi è carcerato, mando un video messaggio e lì è nata l’idea delle dirette. Avevo già pensato di fare una cosa del genere, perché tante volte nella mia vita mi è venuto da pensare: “Se avessi una GoPro e la mettessi sulla testa diventerei ricco“. Da quell’idea lì ho pensato di andare in giro e fare le dirette, incontrare le persone, far vedere le cose, con la gente sotto che commentava. È stata una rubrica, sono state 10 puntate e adesso quando formulo un nuovo programma le rifarò. Le persone continuano a chiedermi perché non faccio più le dirette, adesso è finita la prima serie.

Per concludere questa intervista ti chiedo: cosa c’è nel futuro di Danilo Petrucci?

Eh, ancora non è ufficiale, però andrò a correre in America, volevo fare un’esperienza di vita soprattutto e il campionato mi incuriosisce e sono stato contento di sapere che correrò con con la Ducati, ho avuto sempre un bellissimo rapporto con loro e soprattutto l’ho scelta perché mi andava di andare a vedere come si vive in America, quindi ho detto vado a fare un’esperienza, ancora sono giovane quindi se non lo faccio adesso non lo faccio più. Ho provato ad autoconvincermi e ho detto allora sì, vado. Dopo non lo so, faccio un’avventura per volta.

Giusto, però comunque le moto rimangono il filo conduttore, una certezza.

Sì. Adesso che ho un po’ di tempo mi metto sia a fare un po’ più di cucina che a mettere un po’ più di dischi da ascoltare. Almeno sviluppo un po’ di più i miei hobby.