> > Delitto di Ostia: Simeone, stuprato e ucciso a 8 anni

Delitto di Ostia: Simeone, stuprato e ucciso a 8 anni

Simeone, stuprato e ucciso a 8 anni

Le indagini hanno rivelato le ripetute violenze su minori perpetrate nel quartiere delle case occupate Gescal.

Era il 19 luglio 1998 quando il corpo del piccolo Simeone Nardacci, di soli 8 anni, venne ritrovato nella “baracca degli orrori” nella pineta di Procoio, vicino a Ostia. Ai segni delle percosse e delle bastonate sullo sterno si univano quelli delle ripetute violenze sessuali subite dal bambino. La sua morte scoperchiò il mondo di orrori familiari consumati tra gli occupanti delle case Gescal e portò all’arresto di diverse persone, tra cui il pescatore sessantenne Vincenzo Fronteddu e il figlio Claudio, ma anche Franco Nardacci, padre di Simeone.

Le case Gescal

Quello delle case Gescal è un mondo difficile da immaginare per chi non ha mai messo piede in una periferia dimenticata, abitata da occupanti abusivi stipati in pochi metri quadrati. Si tratta di oltre duecento famiglie che, alla periferia di Ostia, vivono in case fatiscenti e in un contesto di profondo degrado. Tra queste c’è la famiglia Fronteddu. Il capofamiglia, Vincenzo, è un pescatore di 60 anni, approdato nel Lazio dalla campagna sarda di Nuoro. Divide i 35 metri quadrati della sua abitazione con la moglie Bruna e i nove figli.

È tra le mura delle case Gescal che il destino della famiglia Fronteddu si incrocia con quello di Simeone Nardacci. Anche lui è uno degli occupanti, insieme al padre Franco e alla sorella Rebecca. Simeone è solo un bambino, ha 8 anni e cerca un compagno di giochi. Finalmente lo trova: è Danilo, il figlio undicenne di Vincenzo Fronteddu. I loro giochi, però, ben presto si interrompono quando il piccolo Nardacci scompare.

Il ritrovamento

Il cadavere viene ritrovato in quella che era chiamata “la capanna dei bambini“, ma che può essere meglio definita come “capanna degli orrori“. Il corpo è malamente nascosto da assi di legno, le stesse con cui è stato massacrato. Gli inquirenti parlano proprio con Danilo, che rilascia una confessione: “L’ho ammazzato io, abbiamo litigato”. Le sue parole però non convincono i magistrati, che scavano più a fondo nella vita della borgata.

Le indagini

Viene effettuata un’autopsia, dalla quale emergono le ripetute violenze sessuali subite da Simeone. Il piccolo ha provato a opporsi all’ennesimo stupro e per questo è stato picchiato. Le percosse hanno provocato un rigurgito che l’ha soffocato, uccidendolo. La tragedia di Simeone spinge gli abitanti del quartiere a parlare. Tutti sapevano cosa succedeva nella capanna in mezzo alla pineta e circola la voce che il bambino spesso si concedeva agli adulti per qualche spicciolo, per comprarsi un gelato.

Gli inquirenti si concentrano su Vincenzo Fronteddu e lo arrestano il 20 luglio. Dopo due settimane, finisce in manette anche il figlio Claudio, 39 anni, accusato di concorso in omicidio: teneva fermo il bambino mentre il padre lo picchiava e lo violentava.

I figli di Fronteddu

Non appena Fronteddu è lontano, dietro le sbarre, i suoi numerosi figli accettano di parlare con la polizia e rivelano nuovi orrori. Tutti, maschi e femmine, sono stati abusati dal padre fin da quando erano bambini. “Eravamo dei giocattoli per lui, ci minacciava di ucciderci se non gli avessimo lasciato fare quello che voleva”, ha dichiarato la figlia Elena. “La fine di Simeone potevamo farla noi”, è la drammatica consapevolezza. Già nel 1987 il fidanzato di una delle figlie aveva sporto denuncia contro Vincenzo, con il supporto di quattro dei figli del pescatore, che però si rifiutarono di testimoniare e fecero così cadere le accuse.

Bruna, la madre, si è sempre schierata a favore del marito, accusando i figli di mentire per ribellarsi all’autorità paterna. La donna è stata costretta ad abbandonare il quartiere, per via delle pressioni degli altri abitanti.

La condanna

Il processo nei confronti di Vincenzo Fronteddu si è concluso nel 2000. Il pescatore è stato condannato all’ergastolo e alla perdita della patria potestà per omicidio e violenza sessuale. L’uomo non ha mai dato segno di pentimento per gli abusi sui figli e non ha mostrato rimorso per la morte del piccolo Simeone.

Il padre di Simeone

Ma la tragedia di Simeone è cominciata prima di conoscere la famiglia Fronteddu. Le indagini hanno rivelato che anche tra le mura di casa Nardacci si consumavano ripetute violenze. Il padre, Franco, è stato accusato di abusi sessuali su minori dalla figlia maggiore Rebecca. L’uomo ha violentato ripetutamente sia lei che il fratello ed è stato per questo condannato alla detenzione al Regina Coeli, dove si trovano anche l’assassino del figlio.