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Djokovic ammesso agli Australian Open e noi vaccinati ci sentiamo superati in un mondo di saltatori di file

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E intanto qualunque no vax del pianeta vedrà in Novak-Novax il totem delle "ragioni di libertà” e si sentirà legittimato a dire che aveva ragione.

Quello che in due anni di pandemia ci ha sempre colpito dell’Australia è stata quella coerenza, antipodista per geografia e condotta, nell’essere severa in quanto a restrizioni anti Covid. In quasi 24 mesi di mainstream ci siamo sciroppati l’andazzo germanicante di un paese che si è incarognito come pochi altri e che ha messo paletti ferrei a chi volesse anche solo provare a disegnare un canguro al largo del Giappone, e il sunto era “qui bello mio non entri, troppo alto il rischio che tu faccia guai”.

Bene, ora saltiamo di palo in frasca, scorriamo i meridiani come fanno i veri creativi ed immaginiamoci una festa adolescenziale qui, nell’Italia delle millemila critiche alle regole. In sceneggiatura ci mettiamo il padroncino di casa e gli amici, tutti vaccinati contro il Covid, poi la più figa del gruppo che non è vaccinata ma è pur sempre la più ganza della combriccola, quella cool che se arriva lei poi il giorno dopo su Instagram tutti squittiscono che la festa è “andata alla grande bro”.

Il padroncino di casa ci pensa, va in rovello, si fa uscire il fumo dalle orecchie tanto che gli crashano pure le sopracciglia a furia di strizzare gli occhi e poi fa la cosa giusta: non invita la più figa di tutte. Poi il giorno dopo si sciroppa quattro sfigati tamarri che lo fanno nero e la più parte di amici e famigli che gli dice che è un saggio, perché la più figa è andata ad un’altra festa e con la Omicron ha contagiato pure i pettirossi in davanzale.

Ecco, la più figa della combriccola è Djokovic e l’alter ego in negativo del padroncino di casa è l’Australia, che per accogliere un tizio che porta incassi e successo da germanicante è diventata all’improvviso hippie, salvo poi rimettersi i galloni con il serbo bloccato in aeroporto e sollecitato a dare spiegazioni. Il campione (su battuto e sintetico, e basta) ha piazzato il suo migliore “ace” di sempre ed è riuscito a beccarsi un’esenzione ad personam per partecipare agli Open di Australia.

Inutile sottolineare che, essendo Novak un Novax non dichiarato ma conclamato (quando si dice nomen omen), in punto di diritto lui al massimo avrebbe potuto giocare da remoto alla Ps5 e pure con la mascherina tirata sul serbo grugno.

Ma quando di mezzo ci sono i danè, il mainstream e la figaggine di chi te lo fa mungere non ci sono pandemie, terremoti o giudicati dell’Aja che tengano: se il tizio è un acchiappone di pubblico ed è un asso nella sua materia il tizio lo si invita anche se è un potenziale vettore di contagio. Qui si sommano due cose facili facili e conviene scodellarle subito e in combo: da un lato il rischio epidemiologico empirico in un momento in cui Omicron corre più dei servizi di Isner, dall’altro una questione di principio grossa come una casa che batte perfino il primo.

È quella per la quale qualunque sciroccato no vax del pianeta vedrà in Novak il totem delle “raggioni di libbertà” Novax e si sentirà legittimato o a starnazzare che lui e i suoi sodali avevano ragione. Oppure a dire, avendo ragione sul serio, che con le pandemie le eccezioni non confermano le regole, ma le vanificano.

Senza contare che i poveri miliardi di grulli che si sono vaccinati nella speranza di dare un contributo alla lotta al virus si sentiranno come il tizio che fa la fila alle poste in un mondo di saltatori di file.

Saltatori come saltano i canguri, che vivono in Australia, dove la più figa del bigoncio Novak Djokovic andrà impunta ed esentata alla festa, saltando la fila dei fessi che hanno messo senso civico e bene comune in contrappunto ai loro desideri: per uscirne tutti assieme.