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Donne e sclerosi multipla, non ricordiamocene solo l'8 marzo

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La SM colpisce soprattutto le donne ("il rapporto è di uno a tre", spiega a Notizie.it la dottoressa Jessica Podda): le esperienze di madri che coniugano famiglia e lavoro nonostante la malattia.

Non siamo donne solo l’8 marzo. Difficile dimenticarsene, tra divario salariale, violenze e femminicidi, discriminazioni più o meno velate, difficoltà a bilanciare vita familiare e lavorativa. Ma se c’è chi ha ancora meno il lusso di potersene dimenticare sono le donne (madri, in molti casi) affette da sclerosi multipla.

Una malattia che colpisce soprattutto le donne, mi spiega la dottoressa Jessica Podda, giovane ricercatrice della Fondazione italiana sclerosi multipla, psicologa con dottorato in bioingegneria e robotica che oggi si occupa di neuroriabilitazione cognitiva e motoria. “C’è un rapporto di uno a tre” mi racconta. Come mai? “È una domanda molto complessa, perché la SM è una patologia dall’eziologia multifattoriale, ovvero sono tanti i fattori che influiscono sull’insorgenza. È una combinazione di fattori ambientali, genetici, ormonali”. Alcuni recenti studi collegano la SM al testosterone, i cui livelli fisiologicamente più bassi renderebbero le donne meno protette, più predisposte a sviluppare la malattia.

E così si ritrovano, come Chiara e Barbara, davanti a una diagnosi terribile, magari da giovanissime, a 18 anni, in quell’età in cui ti sembra di avere tutta la vita e infinite possibilità davanti a te. “L’ho scoperto per un problema agli occhi – mi spiega Chiara Pinto, che concilia famiglia e lavoro nonostante la sclerosi multipla – Dovevo comprare degli occhiali e vedevo una lente di colore diverso: cominciai a girare diversi ottici, pensavo che il problema fossero gli occhiali, non pensavo di essere io. Da lì abbiamo iniziato a fare alcune indagini e dopo poco è arrivata la diagnosi”. Una diagnosi che, alla fine del secolo scorso, era una condanna. “Nel 1998 la malattia era affrontata con farmaci molto blandi rispetto a quelli che abbiamo adesso. Ma soprattutto c’era molta confusione, poco aiuto. Mi sono sentita molto sola, l’impatto con la diagnosi fu terribile” aggiunge Barbara Capizzi, affetta da SM e volontaria della sezione AISM di Biella.

Quando è arrivato il referto Chiara stava finendo il liceo: “Dovevo scegliere l’università e devo dire che la diagnosi mi ha condizionato tanto. Non sapevo quale fosse la scelta giusta da fare. Avevo paura anche a stare a casa da sola, temevo di non svegliarmi il giorno dopo. Mi chiedevo cose come ‘e se ora vado a letto e domani mi sveglio e non cammino?’. Avevo così paura che non riuscivo a parlarne neanche con i miei genitori. Come fai, da figlio, a porre certe domande?”.

Barbara si è sentita cadere “letteralmente dalle stelle alle stalle. Il giorno prima ero sul un palco a fare quello che ho sempre sognato di fare nella vita, la cantante, e il giorno dopo ero nel tubo della risonanza magnetica con una diagnosi terribile. Nel giro di poco ho iniziato ad avere attacchi di panico, non lo augurerei a nessuno“.

Oggi, fortunatamente, “la ricerca ha fatto passi da gigante ed è avanti anni luce rispetto a 30 anni fa” spiega la dottoressa Podda. “Adesso abbiamo dei farmaci in grado di arrestare il numero delle ricadute andando a dilatare il tempo tra una ricaduta e l’altra”. Inoltre “negli ultimi anni ci sono sempre più evidenze scientifiche a sostegno della riabilitazione che a oggi è considerato un vero e proprio farmaco. Sia essa fisioterapia, logopedia, riabilitazione cognitiva o terapia occupazionale, ha effetti benefici sul sistema nervoso laddove i farmaci non hanno l’effetto sperato: aiuta ad arrestare la progressione della patologia”.

Ulteriori progressi arrivano e arriveranno dalle nuove tecnologie. “L’idea di sviluppare un’app per l’autovalutazione del sistema cognitivo nasce durante il lockdown, quando i malati di SM sono stati lasciati soli, hanno dovuto rinunciare a visite e trattamenti per via delle restrizioni” continua la dottoressa. “Nell’immaginario collettivo, la SM colpisce solo il sistema motorio, ma in realtà coinvolge anche il sistema emotivo e cognitivo, anzi, i disturbi cognitivi colpiscono dal 40 al 70% delle persone affette da SM e sono una delle principali cause di allontanamento dalla vita sociale e dal lavoro. Quindi è prioritario mettere in campo delle strategie per diagnosticare la patologia in tempo e sviluppare un piano terapeutico adeguato. L’app consentirà ai pazienti di auto somministrarsi test che ora vengono fatti, carta e penna, in una seduta ambulatoriale”.

“Io non sono particolarmente credente ma in una cosa credo: nella scienza e nei dottori. Senza di loro non avrei fatto nulla, tanto per cominciare non avrei avuto mia figlia, 4 anni fa” mi racconta Barbara. Quando le chiedo se la malattia influenza il suo modo di essere madre mi risponde che affronta la maternità come ogni altro aspetto della sua vita: “Con il piede schiacciato sull’acceleratore. Ci pensa la malattia, ogni tanto, a farmi tirare il freno a mano. Ma non mi faccio fermare. Ogni tanto zoppico, uso la stampella e devo dare delle spiegazioni in più alla mia bambina. È solo un ostacolo in più, ma non mi sento di avere delle mancanze rispetto alle altre madri. Magari posso prenderla in braccio meno ma cerco di compensare con un sorriso in più, un abbraccio in più, cerco di essere mamma allo stesso modo. Non necessariamente devo fare la maratona per essere la mamma perfetta e spero che mia figlia questo lo capisca”.

È più difficile per una donna avere la SM? “Per quanto riguarda la vita lavorativa, assolutamente sì” risponde Barbara senza alcun dubbio. “Ho avuto difficoltà sul lavoro tanto che ho dovuto lasciarlo e intraprendere una mia attività da lavoratrice autonoma perché non riuscivo più a portare avanti nessuna attività da dipendente. Ho provato a lottare tantissimo ma non ce l’ho fatta, ho rischiato di ammalarmi più per il lavoro che per la malattia stessa”. In azienda “non riuscivano a gestire la mia situazione sebbene io non abbia mai mostrato la mia stanchezza o le mie debolezze sul lavoro, ma il fatto di dover andare a fare la terapia una volta al mese o la risonanza ogni tre mesi creavano problemi perché non avevo tutele”.

Troppo spesso, ancora oggi, “mancano aiuti e tutele per chi è affetto da SM, per chi come me non ha la 104 e a lungo andare queste cose diventano dei problemi. Dal punto di vista di una donna, questo si somma a magari dover chiedere permessi per i figli e alla fine crolli, devi farti da parte”.

Non ricordiamocene solo l’8 marzo.