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Ex Ilva, scatta la cassa integrazione per 3.500 lavoratori

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Protestano i sindacati per la decisione dei vertici dell'ex Ilva di avviare la procedura di cassa integrazione per 3.500 lavoratori.

Dopo il via libera allo spegnimento dell’altoforno 2 dello stabilimento di Taranto, scatta la cassa integrazione per 3.500 lavoratori dell’ex Ilva. La decisione è stata presa dal tribunale della città pugliese e in seguito comunicata dai sindacati, convocati dai vertici dell’azienda.

Ex Ilva, annunciata cassa integrazione

“L’azienda ha informato le organizzazioni sindacali che, in seguito al rigetto dell’istanza avanzata dai Commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria di proroga allo spegnimento dell’altoforno 2, a breve invieranno alle stesse l’avvio della procedura di cassa integrazione straordinaria per 3.500 unità”, hanno fatto sapere fonti sindacali dopo l’incontro coi rappresentanti dell’ex Ilva. In questi rientrano anche i 1.273 lavoratori interessati dalla recente proroga e che “sarebbero stati collocati in Cigo”.

La decisione di ArcelorMittal è stata immediatamente contestata dai portavoce di Fim, Fiom e Uilm. Marco Bentivogli, segretario della Fim Cisl, ha indicato in “ambiente e lavoratori” le vittime del “pasticcio politico” e del “flipper giudiziario” della questione Ilva.

Sì allo spegnimento dell’altoforno 2

Nella serata di martedì 10 dicembre, il giudice Francesco Maccagnano ha ribaltato la decisione della Procura e ha negato la proroga dell’utilizzo dell’altoforno 2, avanzata dall’amministrazione straordinaria dell’ex Ilva.

“Nonostante tutte le proroghe della facoltà d’uso di cui ha beneficiato Ilva Spa, concesse espressamente oppure implicitamente, si impone a questo giudice rilevare che il termine richiesto per l’adempimento delle residue prescrizioni (pari, nella sua estensione massima, a 14 mesi) appare poco più del triplo del termine originariamente concesso dalla Procura”, ha spiegato il giudice. “Il termine richiesto risulta troppo ampio, in palese contrasto con tutte le indicazioni giurisprudenziali e normative, e dunque tale da comprimere eccessivamente l’interesse alla salvaguardia dell’integrità psico-fisica dei lavoratori”.