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Investimenti in diamanti: i truffati possono ancora recuperare i soldi

Investimenti in diamanti: i truffati possono recuperare i soldi

Vi sono stati propinati diamanti come un ottimo investimento? Avrete buone possibilità di vincere la causa e quindi di poter recuperare i soldi perduti.

I guai per i risparmiatori non sono ancora finiti. Dopo i disastri finanziari di società che avevano emesso obbligazioni, propinate dalle banche a chi aveva mezzi da investire come un’operazione sicura, è adesso il turno di chi per sfuggire ai rischi di default delle imprese, è stato indotto, sempre dalle banche, a mettere al riparo i propri soldi in pietre preziose.

Investimenti in diamanti

È questa un investimento consigliato da diversi istituti di credito, quali Banco BPM e Unicredit, che dicevano ai propri clienti che i titoli, quali azioni ed obbligazioni, non erano più sicuri e che l’unica strada, per sottrarsi all’inflazione e ai rischi finanziari, era l’acquisto di diamanti per il tramite di società specializzate come Intermarket Diamond Business (IDB). È, peraltro, accaduto che quei “brillanti” siano stati alienati, di comune accordo tra le banche, che li offrivano ai clienti, e le società che li vendevano, a prezzi “gonfiati”. Tant’è che oggi, anche a causa della diminuzione del valore di mercato di quei beni, quell’operazione si sia rivelata un pessimo affare.

Arrivati a questo punto, non resta che chiedersi se i consumatori abbiano armi per recuperare il denaro investito. Ed è questa la stessa domanda che ci si era posti per l’investimento in azioni ed obbligazioni di società, quali Parmalat e Cirio, finite in default.

La risposta, a parere di chi scrive, è positiva, benché nel frattempo sia stato dichiarato il fallimento di IDB, rendendo così quasi impossibile sperare di ottenere qualcosa dalla procedura fallimentare. Vi è ancora possibilità di agire contro le banche, quali Unicredit e BPM, che hanno spinto i clienti a comprare. Tale conclusione trova conferma nella giurisprudenza in materia.

Il primo provvedimento da prendere in esame è un‘ordinanza del Tribunale di Verona, pronunciata il 20.5.19 dopo un rapidissimo giudizio ai sensi degli artt. 702 bis e segg. c.p.c., giudizio di durata non superiore ai tre, quattro mesi, senza necessità di una lunga attività istruttoria. Con tale provvedimento quel giudice ha condannato BPM al risarcimento del danno, determinato in via equitativa in una somma pari al capitale investito, detratto il valore dei diamanti, ancora in possesso del ricorrente. Valore, quest’ultimo, quantificato da un esperto cui si era rivolto l’interessato in circa un quarto del prezzo pagato. E si è così arrivati ad un provvedimento che ha dichiarato estinto il rapporto nei confronti di IDB, a causa del suo fallimento, e condannato BPM al pagamento in favore dell’investitore di € 32.206, 66, oltre interessi legali e spese di lite.

La decisione trova, innanzitutto, il suo fondamento nel fatto che l’acquirente non fosse stato informato della notevole differenza tra il prezzo pagato e il valore delle pietre vendute e delle ragioni, addotte da IDB, per giustificare tale circostanza. L’ordinanza ravvisa un’altra ragione di inadempimento nel fatto che nel materiale divulgativo di IDB si sottolineasse che la qualità dei diamanti era in grado di assicurare la facile rivendita e che, di conseguenza, si trattasse di un investimento monetizzabile in qualsiasi momento, in altri termini di un vero e proprio bene rifugio. Il che secondo il Tribunale non era, perché la possibilità di recuperare il capitale investito dipende dal prezzo al quale si riesce a rivendere i bene acquistato. Possibilità, questa, inesistente, in considerazione di come era stato determinato il prezzo dei diamanti venduti, ossia aumentandone macroscopicamente il valore.

Sempre per il Tribunale a tale comportamento illecito di IDB non può, peraltro, sottrarsi BPM, avendo la stessa un fortissimo interesse alla vendita, consistente in una percentuale del 18% sull’ammontare dell’operazione conclusa. Percentuale – a dire di quel giudice – che non poteva giustificarsi “se non implicando un’attività propositiva nell’acquisto dei diamanti da parte dell’istituto di credito”. La richiamata sentenza conferma così le conclusioni cui era pervenuta l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale nella sua adunanza del 20.9.17, ha ritenuto gravemente ingannevoli e omissive le modalità di offerta dei diamanti da investimento da parte di IDB, anche attraverso le banche con le quali operava, ossia: Unicredit e Banco BPM.

Il Tar del Lazio ha confermato le multe inflitte dall’Antitrust per pratiche commerciali scorrette ai due istituti di credito e ai due principali operatori nella vendita di diamanti attraverso gli sportelli bancari. Le cinque sentenze (numero 10965, 10966, 10967, 10968 e 10969) pubblicate il 14 novembre hanno giudicato “infondati” i ricorsi presentati sui procedimenti per pratiche commerciali scorrette.

I giudici amministrativi sono entrati nel merito di tutte le questioni esaminate dall’AGCM nei provvedimenti PS10677 e PS10678 contestate dai ricorrenti, osservando come non sia controversa la circostanza che i prezzi di vendita dei diamanti di investimento venissero fissati da IDB in maniera autonoma e che gli stessi, comprensivi del valore della pietra, dei servizi aggiuntivi e del margine di guadagno del professionista, non fornissero indicazione in ordine all’incidenza delle singole voci di costo. Riguardo al ruolo attivo svolto dalle banche il TAR sottolinea che la correttezza della ricostruzione dell’Autorità antitrust, soprattutto nella parte in cui si è appurato che l’opportunità dell’acquisto dei diamanti veniva presentata al cliente dalla propria banca, in persona del proprio referente investimenti, ingenerava un particolare affidamento nel destinatario delle informazioni, amplificato dalla particolare competenza che egli riconosceva al personale della banca.

Il medesimo, anche secondo il TAR, è confermato dai reclami dei clienti e dalle segnalazioni delle associazioni, tali, nel loro complesso, da giustificare la conclusione, secondo cui la pratica commerciale “si è realizzata ed è stata favorita proprio dal canale di vendita di cui la società si è avvalsa, costituito dalla rete bancaria” e che il quadro probatorio complessivamente raccolto faceva emergere il fatto che “i funzionari bancari ai quali normalmente i clienti si rivolgevano per la consulenza sui propri investimenti proponevano alla propria clientela … l’acquisto dei diamanti come forma di investimento alternativa.”

Ricorda il giudice che il Codice del consumo, all’art. 2, comma 2, lett. c), prevede il diritto dei consumatori ad essere correttamente informati, stabilendo espressamente che essi hanno diritto ad “un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità” ed ancora, alla lettera e), “alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali”. Inoltre, l’art. 5, comma 3, prevede che “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore.”

Insomma non vi è ormai alcun dubbio che le due società con la complicità delle banche abbiano posto in essere un sistema di vendita che ha offuscato le possibilità di giudizio e valutazione dei clienti, convincendo questi ad acquistare diamanti a prezzi esorbitanti rispetto al loro effettivo valore. Il che rende, se non certa – in un giudizio non vi è mai certezza – molto probabile la vittoria in causa di coloro a cui sono stati propinati diamanti come un ottimo investimento.

Il risarcimento sarà pari al capitale investito, detratto, per chi li ha, il valore dei diamanti, pari a circa un quarto del prezzo pagato, da maggiorarsi con interessi, rivalutazione monetaria e spese legali. In questo senso si è del resto, più di recente, espresso Il Tribunale di Modena con sentenza in data 28.2.20 condannando il Banco BPM a pagare quanto versato dagli attori, detratto il valore dei diamanti, quantificato in una somma pari al 20% rispetto al prezzo pagato, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal tempo dall’acquisto.

Da sconsigliare quindi l’accettazione delle proposte transattive delle banche, le quali offrono spesso somme irrisorie rispetto alle perdite effettivamente subite.