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Coronavirus, il 30% dei ristoranti e negozi non riaprirà a giugno

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Secondo Unimpresa, a giugno il 30% di ristoranti e dei negozi non riaprirà: i costi fissi superano le entrate previste.

Secondo Unimpresa a giugno – quando è prevista la riapertura per bar, ristoranti, parrucchieri ed estetisti – il 30% dei negozi non riaprirà. Un allarme segnato dalla crisi economica e sanitaria innescata dal coronavirus e che rischia di provocare un effetto a catena. Infatti, secondo le stime, per un imprenditore su tre la riapertura è sconveniente: i costi fissi – affitti, utenze, tassa sui rifiuti e sul suolo pubblico – non vengono congelati né ridotti.

Coronavirus, ristoranti e negozi non riaprono

Le proteste che in questi giorni si sono susseguite in diverse parti d’Italia hanno un unico comune denominatore: molte attività di commercio al dettaglio stanno soffrendo la crisi in modo drastico. Infatti, l’allarme di Unimpresa rivela che a giugno il 30% di ristoranti e negozi terranno le serrande abbassate. Questo perché la riapertura non riesce a compensare i costi fissi che non verrebbero in ogni caso congelati.

Ma il crollo del 30% di negozi, bar e ristoranti si potrebbe tradurre in un effetto a catena che andrebbe a pesa anche sul prodotto interno lordo. Si andrebbero a perdere – secondo le stime – 250 miliardi di euro. Il presupposto per il calcolo di queste somme deriva dal fatto che il 60% del Pil è legato al mercato interno, mentre che il 30% di questo mercato potrebbe subire perdite non ininfluenti.

I problemi del settore

Giuseppe Spadafora, il vicepresidente di Unimpresa, ritiene che queste attività di commercio al dettaglio e di ristorazione “non hanno avuto accesso ai 25 mila euro propagandati dal governo e tutti si dovranno attenere alle nuove disposizioni sulle distanze“. In altre parole, dunque, un bar che riapre a giugno “potrà lavorare con un terzo dei clienti semplicemente perché non li potrà fare entrare nel proprio esercizio. Vuol dire anche un terzo degli incassi, ma con gli stessi costi fissi come bollette, affitti, tassa sul suolo pubblico, rifiuti”. Inoltre, conclude Spadafora, “questo è il settore maggiormente colpito dal nero, ma che di contro, mantiene una certa coesione sociale”.

Ma il grande allarme è l’effetto a catena che la chiusura di questa attività provocherebbe: “Se chiudono o non riaprono migliaia di piccoli esercizi commerciali, a catena saltano per aria tutti gli altri“.